“Calcio femminile, il gossip nello sport non paga: serve una narrazione che esalti le diversità”. Intervista a F. Oggioni

La presa di posizione di Anya Alvarez – che su “The Guardian” scrisse: “Esiste un sessismo sistematico nello sport che finisce con una retribuzione ineguale, ma che inizia con il modo in cui le donne sportive sono raccontate dai media” – è stata spunto per un intervento sul sito “Minuto Settantotto” a firma di Lorenzo Giudici (allora consigliere di Florentia San Gimignano).

A circa dodici mesi di distanza e alle soglie del professionismo del calcio femminile, ci siamo chiesti se quella frase sia ancora attuale e in quale misura.

Calcio femminile -Federico Oggioni intervista
Federico Oggioni – Betty Bavagnoli ( Foto Fabio Cittadini)

Eccoci perciò tornati nella “Città delle 100 torri” per parlarne con Federico Oggioni Responsabile Comunicazione e Marketing di Florentia San Gimignano, società che peraltro ha vissuto sulla propria pelle il cambiamento del mondo del calcio femminile nell’ultimo periodo.

Partiamo dalla frase dell’Alvarez: le cose sono cambiate in quest’ultimo anno, così travagliato non soltanto per lo sport?

“Le cose non sono cambiate in maniera radicale. Diciamo piuttosto che ci sono stati dei piccoli miglioramenti, poiché si va verso un progresso generale della figura della donna nel mondo dello sport. Le operazioni della Federazione e dei media spingono in questa direzione. Però non posso dire che sia cambiato moltissimo rispetto all’uscita dell’editoriale dello scorso anno.

Il passo principale è il via libera al professionismo negli sport femminili, ormai legge a livello nazionale. Poi però dalle parole bisognerà passare alla pratica. Un passaggio molto difficile al quale dovrà fare seguito un cambiamento di tipo culturale”.

A proposito di mutamento culturale, cosa ti sembra che manchi ancora all’informazione sportiva per dare la giusta spinta al movimento del calcio femminile?

“Sicuramente serve maggiore spazio e non parlo soltanto di gossip, che ormai fa tendenza anche nel calcio maschile. È opportuno dare risalto alla storia delle squadre e delle giocatrici. Manca la visibilità, molto risicata, sui principali media tradizionali come giornali e telegiornali sportivi.

Se da un lato quest’anno c’è la possibilità di vedere una partita in chiaro su La7, dall’altro Sky ha declinato il suo interesse per il calcio femminile italiano. Molto interessante è l’operazione fatta da DAZN che ha comprato e reso disponibile sulla sua piattaforma tutta la Champions League femminile, della quale però in Italia si parla davvero poco.

In definitiva servono spazio e capacità di promuovere le belle storie. Un esempio virtuoso, riuscito però a metà, è la docu-serie in sei puntate “Uniche” (in streaming su TIMvision): un ottimo prodotto che racconta le storie personali e le ambizioni sportive di alcune calciatrici della Serie A della scorsa stagione. La serie non è stata promossa adeguatamente a livello di Federazione e così non ha trovato eco nelle testate giornalistiche e di informazione sportiva”.

Tornando sul binomio ‘gossip e calcio’. Parlare dell’individualità, per esempio del percorso spesso non facile che porta le calciatrici a realizzare il loro sogno, aiuta o piuttosto limita nel trasmettere il messaggio di calciatrici/atlete?

“Le storie delle calciatrici sono importanti, a mio avviso. Riscontro però che il livello qualitativo della narrazione si è abbassato con l’ingresso delle squadre professionistiche. Quest’ultime se da un lato hanno ampliato la platea dall’altro hanno appiattito tutto, applicando la stessa gestione di calcio/prodotto già sperimentata nel calcio maschile.

Mentre, opinione mia personale, le storie delle calciatrici servirebbero per connotare il Dna di questo sport e per evidenziare le differenze del calcio vissuto e praticato dalle donne”.

Ecco, appunto le differenze. Come si evidenziano secondo te nell’informazione sportiva calcistica tali diversità, senza cadere negli stereotipi?

“Il calcio non è uguale. Il calcio femminile ha le sue peculiarità come tutti altri gli sport che vengono praticati in ambito maschile e femminile. Non si tratta di un giudizio di qualità, ma di una valutazione oggettiva. Ed è proprio il giusto connubio narrativo, in grado di mixare sapientemente i racconti con le analisi tecnico-tattiche, che potrebbe dare valore a tali differenze.

Eppure la qualità della narrazione non è comunicata/veicolata dalle società professionistiche, orientate a strategie commerciali piuttosto che a fare emergere le caratteristiche uniche del calcio femminile. Si rischia di normalizzare uno sport che ha alcune caratteristiche sue proprie. Una su tutte “il calcio femminile va oltre il campo” perché le atlete lavorano per vivere. Ciò è ancora più vero e tangibile in categorie, anche di alto livello, come la Serie B. E continuerà a essere ‘un mondo a parte’ anche con il professionismo”.

Ci racconti in breve la scelta di Florentia San Gimignano di ripartire dal basso, sottolineata anche dall’hastag ufficiale #CostruiamodalBasso dopo la cessione del titolo alla Sampdoria?

“Siamo ripartiti puntando sul calcio territoriale. La cessione del titolo sportivo, che dà diritto di partecipare alla Serie A alla Sampdoria, è stata pressoché inevitabile, perché l’ingresso delle squadre professionistiche ha radicalmente cambiato lo scenario del calcio femminile.

Per noi sarebbe stato difficile restare nella massima serie e se lo avessimo fatto avremmo dovuto con tutta probabilità giocare a Siena, a causa delle normative federali sulle infrastrutture. Non avevamo voglia di snaturarci e di tagliare i ponti con il luogo dove siamo nati e cresciuti in modo esponenziale, passando dalla Serie D alla Serie A in poche stagioni.

Adesso, nel calcio femminile abbiamo Under 15 e Under 17 e una scuola calcio mista con bambine e bambini. Nessuna ‘ghettizzazione’ di genere: le bambine devono giocare come e quanto i maschietti. Un nostro contributo per colmare in qualche modo il gap culturale”.

Ben tornato!