Copa71 i mondiali di calcio femminile nascosti con 100mila spettatori allo stadio, sono quelli più visti di sempre. Trailer di Copa71
Il mondo negli Anni ’70 era profondamente diverso. Più grigio e cattivo. C’erano dittature oscurantiste che sono andate avanti per anni seppellendo chi dissentiva in giardino, guerre sconosciute e mai documentate. Da una parte si conquistava lo spazio e si facevano incredibili scoperte mediche. Ma dall’altra per il potere si compivano stragi e autentici genocidi.
Copa 71, il Mondiale proibito
Sono gli anni che in Italia aprono il fronte del terrorismo. Dall’estero cortina di ferro e guerra fredda.
Scopriremo cos’erano i lunghi rigurgiti del razzismo americano e l’apartheid sudafricana molti anni dopo. E solo grazie al fatto che poche persone hanno consegnato al mondo immagini inaccettabili, denunciando quanto accadeva.
In tutto questo forse i fatti raccontati da Copa71 non possono essere uno shock. In fondo si tratta di sport, di calcio. Ma con il senno di poi, e alla luce dei moltissimi passi avanti fatti nel corso degli anni, gli eventi raccontati da questo meraviglioso documentario pubblicato alcune settimane fa e presentato in questi giorni al DocsFest di Pordenone non possono passare sotto silenzio.
Copa71 racconta il Mondiale di calcio femminile giocato nel 1971 in Messico. Il secondo mondiale di calcio femminile della storia. Un mondiale che di fatto non c’è. Un torneo a inviti sponsorizzato da un marchio italiano per questioni di marketing e di business. Che la dirigenza del calcio internazionale finì per combattere in un’assurda guerra di religione.
Copa 71 il mondiale di calcio ‘privato’ delle donne
Era l’anno successivo al Mondiale vinto dal Brasile di Pelé contro gli Azzurri, quelli di Italia-Germania 4-3. Il calcio femminile era popolarissimo in Messico e in Sudamerica, e gli stessi organizzatori del mondiale maschile e delle Olimpiadi del 1968 pensarono di creare un evento dedicato alle donne che facesse storia.
Il tutto in un contesto che definire poco omogeneo è un eufemismo. Il calcio femminile era visto malissimo dalla FIFA di allora. Una questione politica ma anche economica: nessuno dei dirigenti del calcio maschile voleva avere niente a che fare con le donne, soprattutto per una questione di supremazia.
Al torneo parteciparono poche squadre, tutte su invito: nessuna qualificazione. La FIFA non solo non aveva organizzato nulla. Ma aveva considerato illegale partecipare al torneo minacciando sanzioni. C’era anche l’Italia femminile. Il capitano era Elena Schiavo, una ragazza che definire fuori dall’ordinario era poco. Semisconosciuta, ignorata dalla tv e dai giornali, Elena era una ribelle vera che aveva cominciato come mezzofondista convinta di potere arrivare alla maratona ma all’improvviso si era data al calcio. Contro tutte le regole scritte e non scritte.
Giocò nella Roma per sostituire l’ala sinistra che si era fatta male. E da allora non uscì più dal campo. Quando a Teatro 10 Alberto Lupo la intervistò tra il pubblico chiedendole cosa facesse di lavoro, Elena rispose… “io faccio l’ala sinistra”.
La damnatio memoriae del calcio femminile
Di quel Mondiale non si poteva scrivere, non si poteva parlare. Quel mondiale femminile di fatto non è mai esistito.
Nonostante alla finale dell’Azteca fossero presenti oltre 100mila persone. Ufficiosamente era il secondo Mondiale del calcio femminile: il primo si era svolto in Italia in soli nove giorni, l’anno prima, nel più totale disinteresse. Aveva vinto la Danimarca battendo in finale proprio le Azzurre. Ma quello che accadde in Messico fu assurdo: le danesi si confermarono campioni battendo il Messico in finale. Un torneo trionfale con tanto di parata per le strade e una popolarità immensa. Tanto successo spaventò terribilmente i signori della FIFA anche per via del fatto che un potentissimo sponsor italiano (la Martini & Rossi) aveva pagato le spese e i premi per tutte le partecipanti. Un precedente rischiosissimo.
In finale la Danimarca batte 3-0 il Messico che in semifinale aveva eliminato l’Italia. La FIFA riuscirà nell’incredibile impresa di mettere tutto a silenzio. Promettendo ai giornali e alle TV mondiali eventi se avessero cancellato le notizie di quel mondiale di calcio femminile, eliminando anno dopo anno qualsiasi traccia documentaristica dagli archivi storici. Una vera e propria operazione di damnatio memoriae che è proseguita per molti anni. Fino a quando la FIFA ha deciso, venti anni più tardi, di riabilitare il calcio femminile organizzando i primi tornei ufficiali.
Un documento prezioso
Copa71 è un’opera rivoluzionaria che mette la federazione internazionale di fronte alle sue responsabilità recuperando filmati introvabili e dando voce alle protagoniste di allora: tra le quali anche Elena Schiavo, che oggi ha 76 anni.
A firmare il lavoro, una rigorosissima operazione documentaristica di grande livello, sono due registi inglesi: Rachel Ramsay, al suo esordio in un lungometraggio e James Erskine. Nessuno sconto all’imbarazzante atteggiamento della UEFA e di alcune federazioni – su tutte quella inglese – che misero all’indice il calcio femminile vietandolo sotto l’egida del marchio ufficiale.
Una testimonianza preziosa che proprio oggi, che il calcio femminile italiano parla di professionismo, ma difficilmente riesce a ricreare intorno a sé un ambiente davvero professionale, acquisisce ancora maggiore importanza e significato.
Genovese, classe 1965, giornalista dal 1984. Vive a Milano da 30 anni. Ha lavorato per Radio (RTL 102.5), TV (dirigendo Eurosport per molti anni), oltre a numerosi siti web, giornali e agenzie. Vanta oltre cinquemila telecronache di eventi sportivi live, si occupa da sempre di sport e di musica, le sue grandi passioni insieme a cinema e libri. Diplomato al conservatorio, autore di narrativa per ragazzi.