Dopo Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, forse sarà il turno dell’Italia. Gli indizi ci sono tutti. A partire da un debito pubblico che galoppa (è balzato in avanti fino a sfiorare il 120% del Pil, bisogna tornare alla metà degli anni Novanta per trovare numeri più alti). Per arrivare all’attacco in grande stile degli speculatori. In realtà ciò che sta accadendo in questi giorni – Piazza Affari in picchiata, titoli bancari in rovinosa caduta, ondate di vendite sull’onda del panico – era stato ampiamente previsto dagli economisti: da tempo l’Italia era sotto la lente di ingrandimento dei mercati finanziari. Oggi il Paese appare sempre più border line. Perchè se le fondamenta macroeconomiche appaiono più solide degli altri Stati europei in crisi, il pericolo di un contagio dei debiti sovrani non è più solo uno spettro da esorcizzare. Certo, il Bel Paese non rischia il default, vale a dire quel pericolo di bancarotta che sta tormentando la Grecia. Ma la situazione è grave, tanto da candidare l’Italia a fare il proprio ingresso nella stanza dei Paesi Pigs, acronimo inglese con il quale si indicano quegli stati dell’Unione europea con finanze sull’orlo del dissesto. Solo la fiducia espressa dai vertici di Bruxelles e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel sembra tenerci ancora a distanza dal precipizio. Gran parte di quanto accadrà in futuro è legato alla manovra finanziaria di Tremonti per arrivare al pareggio dei conti. Manovra che se sembra convincere i partner Ue non rasserena e non persuade affatto gli investitori, intimoriti dalla fragilità della maggioranza di governo e dalle bufere giudiziarie che stanno coinvolgendo anche lo stesso ministro all’Economia. Per ora la febbre si misura con lo spread – vale a dire il differenziale di rendimento – tra i titoli di Stato decennali dell’Italia e il corrispettivo bund tedesco. Differenziale che ha raggiunto il massimo storico, mentre la speculazione, attraverso l’attacco all’Italia, indebolisce la moneta unica. A farne maggiormente le spese a Piazza Affari, sono i grandi gruppi bancari, come Unicredit e Intesa Sanpaolo, che da giorni sembrano viaggiare costantemente su un ottovolante. Ma che succederebbe se l’Italia dovesse davvero continuare a scivolare? Il differenziale di rendimento dei titoli di Stato farebbe un ulteriore balzo, il Paese correrebbe verso il rischio di non riuscire ad assolvere agli obblighi alla scadenza. Dovrebbe chiedere aiuto all’Europa, attingere al fondo salva-Stati, offrire in cambio misure di risanamento lacrime e sangue. E l’euro sarebbe sempre più esposto al pericolo di affondare.
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Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore