Euro: secondo il Washington Post gli italiani sarebbero tra i più propensi ad abbandonare la moneta unica, è vero? Ma le colpe reali della debolezza economica tricolore sono nostre o di Bruxelles?
Euro: l’Italia nel giro di un ventennio è passata dall’essere un paese fortemente europeista ad avere oggi una quasi metà dei cittadini che ad un referendum secco sull’uscita dall’euro probabilmente risponderebbero favorevolmente. Vediamo perché.
Dal 1999 Pil cresciuto solo del 4,6% (come la Grecia)
Partiamo da un interessante articolo comparso sul Washington Post a firma Matt O’Brian (Italy is the most likely country to leave the euro). Vi troviamo due tesi principali:
- L’Euro forse non ha così fatto bene all’Italia dato che dal 1999, anno di introduzione della moneta unica, il Prodotto Interno Lordo italiano è cresciuto complessivamente del 4,6%, una percentuale pressoché uguale a quella della Grecia. Se certamente il Pil non può essere considerato come un indicatore “assoluto” o come l’unica cartina tornasole del benessere e dello stato di salute di una nazione, però è significativo che in un quindicennio il nostro prodotto interno lordo abbia avuto una crescita non esagerata e soprattutto pari a quella della nazione che è oggi considerata la “malata terminale” d’Europa. Aggiungiamo noi un confronto: anche negli anni della crisi il Pil statunitense ha impiegato molto meno tempo a tornare in positivo e, soprattutto, ha preso uno slancio più potente (e duraturo) già da 2-3 anni. Quindi verrebbe da dire: hanno ragione gli euro-scettici, la colpa è certamente dell’Euro, visto che da quando è entrato in vigore cresciamo meno e visto che gli americani corrono mentre noi camminiamo.
- In Italia ci sono partiti come la Lega e il Movimento Cinque Stelle che sostengono apertamente l’opzione dell’uscita dall’Euro (e prendono molti voti). Né Syriza, né Podemos bocciano la moneta unica in modo così palese, creando quella che il Washington Post, nell’articolo succitato, definisce una “cognitive dissonance“. Una specie di dissonanza cognitiva alla cui base c’è il “voler capra e cavolo”. Volere l’Euro, ma voler insieme modificare le politiche annesse, cosa che non può accadere.
Vedi anche: Chi sono i Paesi che vogliono la Grecia fuori dall’Euro e perché.
Il problema è l’Euro o siamo noi?
Un ‘uscita dall’Euro è per noi un’opportunità ? Avremmo una moneta leggera che ci permetterebbe di svalutare e tornare competitivi “artificialmente”? Oppure fuori dall’ombrello della Bce e del suo sostegno il nostro debito, enorme, imploderebbe e la nostra credibilità sui mercati andrebbe a picco?
Forse dovremmo porci un’altra domanda di base. Il problema è la moneta unica o siamo noi? In Italia c’è certamente una serie di condizioni di partenza, indipendenti da Euro e Europa, che frenano lo sviluppo, sono anche elementi che conosciamo bene, purtroppo: burocrazia asfissiante, tribunali che non funzionano, un sistema di trasporti e infrastrutture spesso deficitario (quanto impiega una merce ad andare da Palermo a Catania, oggi?), una dipendenza dall’estero quasi totale per gli approvvigionamenti energetici.
Poi spesso c’è un rifiuto culturale e “psicologico” di elementi “nuovi” che in altri Paesi sono usuali e normali (parliamo di Ogm, ad esempio, in Italia visti quasi come la peste bubbonica). Poi c’è un retaggio familistico che si espande all’educazione e all’impresa, con criteri non meritocratici di selezione. Poi c’è la nostra difesa dei grandi “presidi” italiani (in particolare alimentari, su cui tutti anche a livello “popolare” siamo disposti a non transigere) ma una contemporanea ignoranza diffusa (e spesso un collegato, ingiustificato, timore) sulle nuove tecnologie avanzate.
Poi c’è un sistema del credito non efficiente con scarsissima possibilità da parte di una start-up, ad esempio, di accedere ai prestiti. Poi c’è il rifiuto quasi “confessionale” di tutto quanto intacca potenzialmente le varie sacche di “garantito” del nostro Paese, da Uber, a Airbnb, alle varie forme di economia collaborativa. Poi c’è una tassazione spropositata, uno stato paradossale dell’educazione con disparità poco comprensibili tipo i 788 diplomati con lode della Puglia contro i 234 della Lombardia nell’anno scolastico appena concluso. Poi c’è una sproporzione dei dipendenti pubblici tra le varie regioni italiane. E potremmo continuare per ore con questi “poi”.
D’altro canto è anche vero che l’Euro significa per noi un peso che frena le esportazioni (euro molto forte = minore competitività sui mercati internazionali) e ovviamente anche un freno alle politiche statali differenti da quelle concordate a livello comunitario.
Vedi anche: L’Italia è ferma e dorme, l’Italia è sveglia. Chi ci capisce, è bravo.
Uscire dall’Euro è populismo o senso della realtà ?
Premessa: in Italia, ma in generale in tutta Europa, la conoscenza di cosa sia la U.E., di cosa facciano le sue istituzioni, di cosa comporti essere “cittadino europeo” è scarsissima. Trionfano leggende su “cosa ci impone l’Europa”, si utilizza la leva retorica del “ce lo chiede l’Europa” per giustificare ogni genere di misura nazionale restrittiva o pesante per le tasche dei consumatori. L’Europa è l’utile bersaglio su cui spostare le colpe delle inefficienze e delle decisioni sbagliate che però, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono elaborate a Bruxelles.
Se ci chiediamo che cosa, concretamente, abbia portato l’Europa ci viene in mente la libertà di circolazione? Il fatto che si può trasferirsi nell’Unione e lavorare e accedere alle cure mediche senza alcuna difficoltà ? O ci vengono  in mente le leggi (a volte mistificate o inventate) sui forni per la pizza o la cosiddetta austerity che essa ci impone?
Insomma molti in Italia sperano di uscire dall’Euro per ragioni sostanziali o perché sono rimasti insabbiati dalle spire della propaganda elettorale?
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