Ovvia, ma fino ad ora sempre e solo bisbigliata. Il durissimo affondo del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, insieme al forte malumore per i declassamenti dei debiti sovrani di nove Paesi europei, ha fatto emergere la domanda più vecchia e scontata: ma chi controlla le agenzie di rating? I nomi, ormai, di questi sorveglianti dell’economia mondiale, sono ben noti più o meno a tutti, non solo a chi percorre quotidianamente i corridoi dell’alta finanza. Si chiamano Standard &Poor’s, Moody’s, Fitch. Il loro compito è quello di fornire ai mercati opinioni sul rischio di credito. E, nel caso degli Stati, sul rischio Paese, vale a dire sulla loro solvibilità , attraverso l’analisi dei debiti sovrani. Pochi giorni fa S&P ha bocciato in un solo colpo mezza Europa, persino la Francia e l’Austria, dopo aver retrocesso in serie B l’Italia. Poi ha declassato anche il fondo salva-Stati. Cosa che, dopo le perplessità espresse dal premier italiano Mario Monti, ha provocato il duro avvertimento della massima autorità monetaria europea. Draghi, invitando gli investitori a “imparare a vivere senza le agenzie di rating”, ha compattato il mondo politico europeo e più o meno l’intero sistema creditizio del vecchio continente. Persino l’Abi, l’associazione bancaria italiana, ha definito “ingiustificata, incomprensibile e irresponsabile” la valutazione degli analisti americani. Comprensibile. Il declassamento potrebbe generare un nuovo taglio di merito creditizio per le banche italiane, con inevitabili ripercussioni sulla raccolta e una conseguente crisi di liquidità . Ma la spiegazione di una simile e corale protesta sta anche, e soprattutto, in altro. Le parole di Draghi, i moniti di Monti, hanno richiamato l’attenzione sul vero problema di fondo, su uno degli aspetti più oscuri delle agenzie di rating: chi le manovra? Senza fare dietrologia spicciola è noto che sia nel caso di S&P che di Moody’s gli azionisti di riferimento sono identificabili nei grandi fondi di investimento americani, colossi con una grande potenza di fuoco, grazie alla enorme massa di denaro che hanno in gestione. Certo, non possiamo dimenticare che non più di qualche mese fa la stessa S&P ha declassato – prima volta nella storia – anche gli Stati Uniti, i cui titoli di Stato erano sempre stati considerati tra gli investimenti più sicuri del mondo. Ma negli Usa di Obama, fortemente esposti con la Cina, il debito pubblico ha continuato a galoppare, tanto da ricevere il solenne downgrading da parte dell’agenzia di rating. Arrivare ad affermare che i giudizi sull’Europa di S&P siano pianificati a tavolino per rendere un servizio agli Stati Uniti e alla speculazione è certamente un po’ azzardato. Ma sicuramente il profilo dei controllori, vale a dire degli azionisti di maggioranza delle agenzie, non può affatto escludere il dubbio che traggano vantaggio dalle decisioni che vengono assunte dalle controllate e che stanno pesando come macigni sull’economia e sulla finanza europea. Vale la pena ricordare che la moneta unica sta attraversando una delle fasi più difficili della sua storia, dopo aver insidiato per lungo tempo la supremazia del dollaro. E non può essere dimenticato il clamoroso abbaglio che la stessa Standard & Poor’s prese con Lehman Brothers, il grande istituto bancario americano clamorosamente naufragato e il cui fallimento agì come il detonatore della miccia che fece esplodere la crisi economica mondiale nel 2008. Una trentina di consumatori italiani hanno già citato in giudizio l’agenzia americana per quello che, nel migliore dei casi, può essere considerato un grossolano errore. Una cosa è certa: Draghi ha accuratamente pesato le parole.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
l’articolo è molto interessante, personalmente ritengo che questi signori siano estremamente di parte, anzi che fomentino la speculazione
Gente a servizio degli investitori istituzionali…io vorrei sapere
chi li paga???