Lo sport del calcio donne cresce ovunque all’estero, forte di investimenti e strategie mirate. Perché allora l’Italia è il fanalino di coda?
Il calcio femminile è il futuro. Lo dicono gli sponsor, gli esperti, lo dicono le nuove generazioni che ne hanno decretato lo status di sport più praticato dalle donne al mondo: ben 40 milioni di bambine e ragazze prendono a calci quel pallone.
Non deve quindi stupire sapere che la FIFA ha deciso di investire un miliardo di euro nel movimento, a dispetto dei problemi legati alla pandemia del Covid19.
Le cifre crescono in modo costante, ad oggi si parla di un giro d’affari che già si attesta per gli sponsor sul miliardo e mezzo di euro. In diversi paesi, come gli Stati Uniti, il campionato femminile ormai garantisce profitti pari se non superiori alla controparte maschile, ed in Francia o Germania, le partite sono regolarmente seguite da decine di migliaia di tifosi.
In Inghilterra (il top del calcio odierno) i ricavi stanno crescendo ma soprattutto le sponsorizzazioni: si parla di un incremento del 45% nell’ultimo decennio. Tutto questo permette di coprire investimenti e spese in modo sempre più incisivo. Ormai tra gli sponsor (anche federali) si contano realtà di prima grandezza come Barcklays o il gruppo Orange.
In tutto questo, l’Italia, a dispetto della riforma inerente il riconoscimento del professionismo delle calciatrici, e dell’aumento delle praticanti, appare gravemente in ritardo. Lo è sia per ciò che riguarda la competitività, sia soprattutto per quella che è la capacità di vendere il prodotto.
I numeri del calcio femminile in Italia
Il nostro paese si trova di fronte a molti più ostacoli rispetto a quelli affrontati altrove. Partendo da un confronto meramente numerico, gli investimenti che per esempio la Juventus sta garantendo al suo club femminile (Campione d’Italia in carica) sono pari più o meno ad un sesto di quanto investito dal Barcellona, che ha stanziato nell’ultimo anno 3,5 milioni di euro.
Ma perché questo stato di cose? Perché se in tutto il mondo si decide di accettare anche momentanee perdite in nome della prospettiva futura, in Italia la situazione è così statica? Perché un club importante come la Juventus per esempio non spende di più?
Occorre ammettere che da noi, il calcio femminile non ha sfondato culturalmente come negli altri paesi. Non ancora almeno. Ed il motivo è semplice: l’Italia ha una cultura sportiva davvero carente, dove domina ancora il maschilismo. Le ragazze della Juventus hanno vinto lo scudetto pochi giorni fa, ma sui social, come sulla pagina on-line della Gazzetta, i pochi commenti sono quasi tutti dallo sprezzante al denigratorio.
Del resto i numeri, da noi parlano chiaro. Il calcio in Italia conta più di 1 milione di praticanti, di cui però solo il 2% appartengono all’universo femminile.
Quando trasmettono le partite della Serie A donne in TV
La conferma arriva anche dalle dirette televisive. Le partite femminili, vengono quasi sempre trasmesse ad orari ben poco appetibili per il pubblico, scarsamente promosse. Lo share al massimo si aggira sul 2,70%.
Pochi ascolti, significano poca visibilità, pochi diritti televisivi da spartirsi e pochi sponsor. Non fatevi ingannare da alcuni isolati tutto esaurito negli stadi, la realtà è che di pubblico ve n’è davvero poco rispetto all’estero. Il tutto genera vulnerabilità e instabilità. Non deve sorprendere che con la pandemia, solo tre o quattro club capaci di affrontare i costi e le perdite.
La copertura mediatica e la promozione del nostro calcio femminile, sono assolutamente distanti da ciò che vi è in Germania, Spagna o Stati Uniti, dove ora si parla già della necessità di colmare il gap salariale tra uomini e donne.
Un gap che vede oggi Leo Messi guadagnare qualcosa come 71 milioni a stagione, mentre la sua collega blaugrana Lieke Martens solo 120mila euro. Negli altri paesi il calcio femminile è diventato parte integrante dell’offerta mediatica e dello storytelling delle nuove generazioni, da noi invece è ancora in fase embrionale.
Risulta difficile vendere sul mercato il nostro campionato anche perché al momento occupiamo il 15° posto nel ranking FIFA (dietro Cina, Corea del Nord e Norvegia), e in quello UEFA le prime squadre italiane sono la Fiorentina al 19° posto e la Juventus al 33°.
Se la realtà del nostro calcio femminile non cresce come competitività e popolarità sul fronte interno, difficile vedere arrivare investimenti o interesse dall’estero. Eppure, da quel 1968 in cui nacque, il calcio femminile italiano ha fatto innegabilmente molti passi avanti.
Quante sono le calciatrici italiane
Abbiamo 20mila tesserate. Poche rispetto alle 100mila della Germania, ma moltissime rispetto alle 3mila di venti anni fa. Appare chiaro che è questo il momento di investire, approfittando del trend globale. Ma pensare di farlo per esempio solo sulla Nazionale, sfruttando i suoi grandi appuntamenti, sarebbe un tragico errore, lo stesso che fu commesso a suo tempo con il rugby nei primi anni 2000.
Occorre non ripetere tale pratica, che ci ha visto sperperare una fortuna per creare grandi eventi attorno al pallone ovale, che però non è cresciuto come movimento ed iscritti, generando il disastro che oggi è sotto gli occhi di tutti. Ma, rispetto al rugby di inizio secolo, questo calcio femminile ha una due armi in più: le nuove generazioni e soprattutto la potenza promozionale dei social media.
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Padovano, classe ’85, per dodici anni ho allenato in ambito pallavolistico prima di scrivere di sport e settima arte. Datemi un film di Clint Eastwood o un match di boxe e farete di me un uomo felice. @zoppello_giulio