Il governo Renzi era partito dalla promessa di avviare una riforma al mese, ora siamo al programma dei 1000 giorni. Cosa ha fatto l’esecutivo e cosa, secondo gli analisti esteri, dovrebbe fare.
Il governo Renzi era nato con molte attese, se n’era quasi parlato come di una ultima possibilità per l’Italia. Il leader dei rottamatori, il più giovane premier della storia della Repubblica, arrivava alla carica di primo ministro passando per primarie di partito, vinte trionfalmente, e per un accordo post-elettorale.
Eppure anche senza la sanzione delle urne il voto europeo lo aveva ampiamente premiato, mostrando con percentuali elevatissime che il Paese sosteneva il suo impegno (e ancora oggi la fiducia nel premier è molto alta, sempre volendo fidarsi dei sondaggi ovviamente…).
Una riforma al mese?
ll progetto di governo era partito con l’ambiziosa idea di “una riforma al mese”. Dopo il primo semestre siamo passati ad un più blando “programma per i 1000 giorni”, alzando molto in avanti l’asticella della prospettiva temporale di azione. Molte riforme in fase di discussione preliminare (scuola, giustizia, mercato del lavoro, riforma elettorale), qualcuna ben avviata (pubblica amministrazione, Senato, che però essendo modifica costituzionale è la più lunga), provvedimenti portati a termine (il bonus da 80 euro, azioni per l’edilizia scolastica, “vendita” di Alitalia ecc.).
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La sensazione è però che le difficoltà siano ancora tante e che le riforme siano ben lungi dall’arrivare in porto. La stessa grafica del sito governativo Passo dopo Passo mostra come siamo su tante materia soltanto alla consultazione o alle prime schermaglie in parlamento.
Le difficoltà con cui ha a che fare il governo sono non soltanto politiche ma anche sociali e legate ad un elevatissimo debito pubblico (per altro enormemente cresciuto dal 2007 al 2013, dal 103,3% rispetto al Pil al 132,6%), quello più alto di tutta l’area Euro.
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Eppure i mercati danno ancora fiducia visto che acquistano nostri titoli (e lo fanno anche per il Giappone che ha un rapporto debito/Pil ancora più alto). Il parlamento però pare non sempre adeguato a sostenere un programma di riforme così ambizioso: gli oltre 60 giorni per l’elezione (o per meglio dire la “non-elezione”, siamo alla 14esima votazione con esito nullo) dei due giudici costituzionali sono uno specchio della lentezza e litigiosità delle nostre Camere.
Troppi obiettivi in contemporanea = nessun obiettivo?
Forse un altro problema è anche quello del concentrare troppi obiettivi contemporaneamente. Durante il forum Ambrosetti di Cernobbio l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne ha proprio parlato di questo aspetto. “Dalla vostra lista di cose da fare, che sappiamo essere lunghissima, sceglietene tre e poi passate alle tre successive”. Forse in questo caso il “peccato” e quello di eccessivo entusiasmo, di voler intervenire a largo spettro sui problemi del Paese e magari anche di aprire tanti fronti per “preparare” la popolazione ai cambiamenti nei vari settori.
Il rischio è, però, quello di incominciare a costruire tante piccole case senza portarne a termine nessuna o completandone poche.
I consigli all’Italia dagli analisti internazionali
Molti quotidiani esteri stanno sottolineando le difficoltà che sta incontrando il premier: Bloomberg.com in un articolo scritto da Lorenzo Totaro parla di rigidità delle leggi sul lavoro, di infrastrutture vecchie e insufficienti, di un’economia ancora in larga parte manifatturiera e volta alle esportazioni che viene penalizzata dalla troppa forza dell’Euro.
In un recente editoriale del Financial Times a firma  Wolfgang Münchau si pongono anche dubbi rispetto al fatto che basti una riforma del lavoro a sistemare le cose in Italia: il Giappone, ancora una volta usato come termine di paragone, ha bassa tassazione, efficiente sistema giuridico, mercato del lavoro flessibile. Eppure è bloccato da oltre 10 anni.
Il FT propone un forte intervento della Banca Centrale Europea sull’economia, con acquisto diretto di titoli di stato ed emissione di bond legati alla costruzione di infrastrutture (lo stesso ex premier Mario Monti lo aveva proposto chiamandoli “project bond”, una sorta di obbligazioni di scopo).
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