Professore ordinario di filosofia dell’educazione e di Teorie e pratiche della narrazione all’Università degli studi di Milano-Bicocca, Duccio Demetrio si occupa da anni di “adultità”, come lui stesso ama definirla, e cioè dell’essere e dell’agire dell’uomo e della donna. Il suo recentissimo “L’interiorità maschile. La solitudine degli uomini”, edito da Raffaello Cortina Editore, ci apre un mondo sul sentire al maschile, sulla sensibilità dell’uomo che, alla donne, risulta troppo spesso incomprensibile e misteriosa.
Partendo dal titolo del suo libro “L’interiorità maschile”, come le è venuta l’ idea di trattare questa tematica e poi perché proprio “interiorità maschile”? E’ così diversa da quella femminile? Volevo, con questo nuovo libro, approfondire le mie ricerche sulla storia della vita interiore, ma in una declinazione di genere che mi permettesse di studiarne i caratteri, le forme e i tratti distintivi. Ho stabilito, così, connessioni e differenze tra l’interiorità maschile e quella femminile, che mi appare più ricca di sfumature e più complessa. Come scrivo, le donne per configurazione genetica e fisica, hanno una consuetudine a sentirsi dentro una vita nuova che cresce, che si muove, con la quale intrattengono relazioni sconosciute ai maschi che, almeno per ora, non hanno ancora imparato a partorire. L’ interiorità, quindi, materialmente e simbolicamente è questione che appartiene alle donne per quanto concerne la sua natura più arcaica.
E’ vero che gli uomini sono poco propensi a guardare alla propria interiorità o questa è solo un’interpretazione femminile?
Da sempre, questo è almeno per il momento il nostro destino genetico, siamo più proiettati verso l’ esterno, spinti ad abbandonare la casa, a cercare altrove quel che non troviamo dentro noi stessi, un po’ anche per l’ amore del rischio, della sfida e dell’ avventura. Sono le storie narrate dalla letteratura di tutti i tempi. Appartiene maggiormente all’uomo l’agire, il conquistare: quindi l’attitudine a sporgersi oltre una vita interna. Ciò ha comportato una ridotta attività interiore per quanto riguarda la dimensione meditativa e contemplativa, l’attesa e l’ascolto di noi stessi. Evidentemente esistono e sono esistiti uomini grandi protagonisti d’interiorità a livello filosofico e religioso, ma si è sempre trattato di minoranze, che hanno saputo incontrarsi e comprendere la sensibilità femminile.
Come potrebbero allora le donne dare una mano agli uomini per aiutarli a guardare dentro se stessi e a risultare più comprensibili al genere femminile?
Oggi tra le nuove generazioni accadono fatti nuovi: si parla sempre più, si scrive in internet, e la scrittura come la lettura sono le intramontabili educatrici d’interiorità, si conversa. Assistiamo anche ai segnali evidenti di una fragilità maschile che non si vergogna più di questo. Questo comporta una maggiore propensione al lavoro introspettivo, alla ricerca di se stessi. Un cammino inesauribile che i maschi fino a non molto tempo fa non potevano accettare per quella loro ansia di arrivare, di piantare bandiere, di fermarsi possedendo. Ciò si verifica, soprattutto, in relazione ai momenti di passaggio o di crisi della vita: avere un figlio, perdere qualcuno, desiderare un cambiamento, innamorarsi, vivere un tradimento, ecc. Sono tutti momenti che definisco la “fragilità esistenziale”, i momenti più perturbanti e più dolorosi, ma anche i più favorevoli ad indurre un proficuo lavoro interiore. In questi frangenti la comprensione delle donne e la loro collaborazione è indispensabile.
Che cosa invece noi donne potremmo imparare dagli uomini?
Imparare a considerare la solitudine una risorsa per continuare a crescere intellettualmente e culturalmente. Ecco questo mi sembra un nostro sapere importante da donare alle donne. Soprattutto perchè sappiamo che noi uomini lasceremo la vita statisticamente prima di voi, ci conforterebbe, quindi, il fatto che voi donne riusciate a riprendervi. Approfittate di questa solitudine per riempirla di voglia di vivere ancora.
Che cosa è cambiato rispetto al passato nell’analisi della propria interiorità?
Forse il fatto che la psicologia e la psicoanalisi, la stessa Tv, oltre alla letteratura e al cinema ci stanno educando a essere più introspettivi. A trovare anche da soli le modalità per frugare nella nostra vita interiore, per stare meglio. quando anche stiamo peggio, facendoci compagnia; o ad accettare gli scacchi, le ferite, i malesseri dell’ esistenza. A cercare chi possa esserci simile per “vocazione”interiore. La cultura quindi intimistica che fa parte di quello che da anni è stato definito “il trionfo del privato”, lungi sempre dall’allontanarci dalla sfera sociale, pubblica, dall’impegno politico o solidale, ci restituisce un più alto senso della nostra soggettività, del nostro io non onnipotente ma razionale, equilibrato, sapiente.
Paola Scaccabarozzi
15 dicembre 2010