Intervista con Donatella Rettore, oltre quarant’anni di successi e una vita ‘Agitata’ come si intitola la sua autobiografia
Per una che nella vita ha sempre preteso di chiamarsi solo ed esclusivamente Rettore, non avere nemmeno un diploma di laurea era davvero un paradosso. Ci ha pensato lo IULM, la libera università milanese di lingue, comunicazione e multimedialità.
…e per i suoi meriti in ambito musicale, stesura di testi e produzione artistica, Donatella Rettore adesso ha un diploma del Marac, management delle risorse artistiche e culturali.
Rettore, ma non laureata
Niente laurea per lei… “Non avevo una gran voglia di studiare. Ed è un paradosso perché a scuola ero brava, al linguistico mi sono diplomata con il massimo dei voti, 60/sessantesimi. Quando sono arrivata a casa e pensavo di poter festeggiare mia mamma mi ha detto… ‘basta così?’. E io le ho risposto che sì, bastava così. Volevo fare altro. Mia madre c’è rimasta un po’ male perché ero figlia unica e tutti avrebbero voluto che mi laureassi. Arrivavo da una famiglia veneta, di radice contadina. In questo non sono riuscito ad accontentarli. Mia madre sarebbe molto contenta di questo diploma”.
Papà invece era già contento così: “Mia madre era tosta, uno sprone, una sfida continua. Ma la adoravo. Mamma è stata un punto di riferiment indispensabile. Mio padre ineve era uomo dolce, profondamente buono e tollerante. Era lui a dirle di lasciarmi tranquilla. Uno dei miei ricordi più belli è legato proprio al mio diploma. Io mi aspettavo un po’ di festa, magari una bottiglia di spumante. Mio papà mi portò a prendere un gelato”,
Da Carmela in poi
Il suo primo brano di successo coincide con la sua prima presenza al Festival di Sanremo. Era il 1977 e cantò Carmela. Un testo intelligente e molto profondo: “Carmela regalava caramelle colorate, ma erano caramelle avvelenate… i cani se hanno paura vanno tenuti alla catena”.
Ma chi era Carmela? “Era un simbolo della rivoluzione partigiana spagnola, una donna straordinaria. Un testo molto politico, uno dei miei tanti rischi. All’epoca ero incosciente, qualcuno diceva che ero matta. E forse aveva ragione. Mi dicevano anche che nessuno mi avrebbe preso sul serio. Il testo di quella canzone invece era estremamente serio”.
Tanti i brani che ha scritto in prima persona, con uno stile molto particolare: “Mi dicono che non ho il dono della sintesi. Le prime cose che scrivevo erano lunghissime, estremamente articolate. E mi sono dovuta adattare: ho imparato molto da altri autori e dai miei produttori. C’è voluto del tempo”.
Tempo necessario anche per educare una voce dirompente: “All’inizio della mia carriera urlavo tanto, avevo una voce potente, estremamente polmonare. Ricordo che una volta cantai davanti a Gino Paoli che mi disse… ‘non sono sordo’. Voleva che interpretassi. Non era né una questione di potenza né di altezza. Spesso mi chiedono di colorare, sfumare. Ma a volte non ci riesco ancora oggi”.
La curiosità e i viaggi: elogio dell’imperfezione
La scelta del linguistico deriva proprio dalla sua passione per i viaggi: “Adoro assaggiare cose che non ho mai mangiato, vedere posti che non ho mai visto, conoscere aspetti nuovi. Una delle mie caratteristiche è sempre stata la grande curiosità. Mi sono sforzata di guardare gli aspetti al di sotto della superficie e alle volte li ho fatti miei. Ancora oggi è così. Se una cosa mi incuriosisce la devo capire. I viaggi sono stati fondamentali perché mi hanno consentito di vedere di persona le cose che mi interessavano dalle quali spesso mi lasciavo influenzare. È accaduto con i vestiti, e con alcune sfumature culturali molto lontane da quelle cui siamo abituati”.
Ma non è sempre così di fronte alle novità… “Ricordo la prima volta che ho lavorato con un computer di nuova generazione pieno di effetti e campionamenti e software. L’ho preso e l’ho buttato via nella disperazione di produttore e tecnici. La tecnologia è importante ed è utile. Ma non deve spegnere la curiosità e l’inventiva. Non mi piacciono le voci trattate elettronicamente con l’autotune. La perfezione è fredda, impersonale. Ci sono voci imperfette che sono splendide proprio perché sono imperfette”.
Rettore, le donne e i giovani
È stata una delle prime a portare in classifica temi forti, non semplici, forse addirittura censurabili. Oggi, nell’era del politically correct chissà se le consentirebbero ancora di cantare ‘dammi una lametta che mi taglio le vene’… o ‘Donatella s’è impiccata sul bidet’…. “Per la verità non ho mai avuto problemi di censura. Ci fu qualche discussione su Kobra, o su Zan Zan Zan. In Amore Stella avrei voluto cambiare un paio di versi perché io non avrei mai potuto cantare ‘io sono niente nullità’. Una donna non sarà mai una nullità. È tante cose, molte più di quelle che si percepiscono e accettano al di là del lavoro quotidiano e dei dolori del parto. Ma mi dissero che avevo firmato un contratto. E il testo rimase così”.
La sua ultima presenza a Sanremo è stata lo scorso anno con Chimica e Dito Nella Piaga: “Quando l’ho conosciuta, Margherita cantava Splendido Splendente. E mi ha molto colpito. A volte ci sono artiste che hanno una gran carriera, ma sono restie a esibirsi con cantanti più giovani. A me invece piace. L’unica cosa che mi interessava era che cantasse bene. E cantava proprio bene… brava, precisa con una voce decisamente bella. Ci siamo divertite come matte. Di fronte a una ragazza dotata dico… bene… insegnami qualcosa che non so. Ma tutti volevano a tutti i costi che litigassimo. Perché a Sanremo litigano tutti. E siccome non lo facevano perché andavamo e andiamo d’accordissimo, si sono inventati che avevamo discusso sul serio. E ci è toccato persino smentire”.
Dunque viva i giovani… “Certo, a patto che ogni tanto spengano il telefonino e tengano acceso il cervello. Oggi si chatta, si cerca, si campiona e a volte si finisce per perdere il gusto del ragionamento e della ricerca. La tecnologia non può essere una scorciatoia comoda per appiattire o omologare. Prima le idee, la ricerca, il coraggio… sempre”.
Donatella Rettore, figlia di Sergio e Teresita, attrice dialettale di commedie di Goldoni, ha realizzato molte più tournee (16) che dischi in studio (13) l’ultimo dei quali nel 2011 (Caduta Massi). Ma una delle sue cose più belle è l’autobiografia Dafauffa Memorie Agitate, pubblicata lo scorso anno per Rizzoli. Dada, così come era soprannominata da giovanissima.
Genovese, classe 1965, giornalista dal 1984. Vive a Milano da 30 anni. Ha lavorato per Radio (RTL 102.5), TV (dirigendo Eurosport per molti anni), oltre a numerosi siti web, giornali e agenzie. Vanta oltre cinquemila telecronache di eventi sportivi live, si occupa da sempre di sport e di musica, le sue grandi passioni insieme a cinema e libri. Diplomato al conservatorio, autore di narrativa per ragazzi.