Una volta c’era la Rai educativa. Concorreva con cinema e teatro, nei palinsesti piazzava programmi pedagogici. Così, tra un notiziario e uno sceneggiato, ingollavi un corso di alfabetizzazione. “E magari era anche bello”, dice Carlo Lucarelli. Poi è arrivata ingorda la tv commerciale, ha fagocitato tutto, anche l’emittente pubblica, che ha alzato bandiera bianca. Eppure la rivoluzione è in atto, la stanno facendo gli internettiani. Pescano programmi in rete, li assemblano, si fanno il piccolo schermo sul web. Se lo dice Lucarelli c’è da crederci. Perchè se è vero che lui è prima di tutto uno scrittore di letteratura noir è anche vero che la tv la mastica bene. Per la Rai ha confezionato Blu Notte, che scava nei misteri italiani; ha firmato la story editor “L’ispettore Coliandro”, tratta da uno dei suoi personaggi, come il commissario De Luca, 4 film per Rai 1. Una quindicina di romanzi, un altro giallo in arrivo, ha da poco fondato a Bologna Bottega Finzioni, scuola per aspiranti scrittori, sceneggiatori, autori televisivi.
Lucarelli, partiamo dalla Rai. L’emittente pubblica una volta aveva anche una funzione educativa che oggi sembra completamente dispersa. Che cosa è successo?
E’ venuta a mancare la concorrenza, così oggi tutti fanno le stesse cose. C’è un allineamento sulla televisione commerciale, una continua corsa dietro ai gusti del grande pubblico. Una volta la Rai aveva altri concorrenti, come il cinema e il teatro. E tra i programmi ti beccavi quelli educativi: ed erano anche belli.
Non c’è via d’uscita?
Ne siamo già usciti. Io in realtà metà della tv io me la guardo già su internet, ne prendo pezzi e me la costruisco come mi pare. Ci sono un sacco di programmi con una bassa audience che vengono visti da molta gente sul web. La televisione ufficiale non se ne è ancora accorta ma il futuro sarà questo: web e satellite, un tv selettiva.
A Bologna lei ha da poco aperto Bottega Finzioni, insieme a Giampiero Rigosi, Michele Cogo, Beatrice Renzi. Che cosa chiedono gli allievi, sono più attratti dalle fiction o dai libri?
Propendono per tutto, non c’è differenza. Sono interessati alla narrazione.
Come si diventa scrittori?
Scrivendo. Uno ha un’idea in testa, comincia ad esprimerla, incontra un editore e inizia a diventare uno scrittore.
Così semplice?
Bisogna insistere. Io per esempio il mio primo romanzo l’ho scritto e l’ho spedito. Era “Carta bianca”, nel 1989. Ho avuto la fortuna di incontrare un editore interessato. Poi ci sono autori che sono troppo avanti per i tempi, la storia è piena di esempi. Basti pensare a Boris Pasternak e Franz Kafka, che furono rifiutati. Ci sono capolavori infiniti che non vengono mai letti.
Questo significa che bisogna piegarsi al mercato?
No, assolutamente. Ma è possibile pubblicare un libro anche se forse non sarà il più bello possibile. Ciò che conta è scrivere la storia che si ha in testa. Se sei dentro lo spirito del mondo troverai qualcuno che la vuole ascoltare.
E per fare lo sceneggiatore che cosa serve?
La bravura consiste nella capacità di rendere con le parole le immagini che poi costruirà il regista. Chi fa lo scrittore sa che ciò che scrive diventerà pensiero. Chi fa lo sceneggiatore sa che ciò che scrive diventerà immagine.
C’è ancora spazio per la cultura?
Soprattutto tra i giovani ci sono sempre più persone che dicono: vorrei sapere e capire di più. Se lo spazio non c’è noi ce lo prendiamo.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore