Ministro, partiamo dalle misure introdotte per contrastare le dimissioni in bianco delle lavoratrici. L’estensione degli obblighi di convalida e la nuova procedura telematica costituiscono un deterrente. Ma non c’è il pericolo che, per aggirare l’ostacolo, le imprese preferiscano reclutare uomini?
È un rischio sempre presente, ma mi auguro che le imprese siano sufficientemente aperte da non fare calcoli di questo tipo. La disposizione che mira a contrastare il fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco” non riguarda solo le donne in quanto comporta una tutela riferibile sia ai lavoratori uomini che alle lavoratrici donne. In primo luogo, infatti, modificando la norma relativa alla convalida sia delle dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza sia della lavoratrice madre ma anche del lavoratore padre durante il primo anno di vita del bambino, rafforza la tutela della maternità e della paternità, in quanto amplia sia l’oggetto che il periodo previsti dalla vigente normativa. E dunque estende da uno a tre anni il periodo durante il quale occorre la convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro per donne e uomini indifferentemente. In secondo luogo, mentre si propone di contrastare il brutto fenomeno delle dimissioni in bianco si propone di tutelare anche sia la libertà del lavoratore di dimettersi, sia quella del datore di lavoro di accettare queste dimissioni.
Parliamo del congedo di paternità obbligatorio per i papà. Non crede che tre giorni soltanto appaiano più che altro un segnale politico?
Premetto che a livello europeo soltanto sedici dei ventisette Stati membri prevedono nei loro ordinamenti i congedi di paternità, che variano da due a dieci giorni e che di solito sono retribuiti sulla stessa base dei congedi di maternità. Inoltre, laddove sono previsti come un periodo di tempo di cui possono usufruire soltanto i padri, ci si riferisce a questi in termini di father’s quota, per cui la distinzione tra congedo di paternità e congedo parentale per i soli padri può apparire confusa.
Ciò detto il nostro Paese, che già presenta una disciplina all’avanguardia in materia di tutela di maternità e congedi parentali, brillerebbe ancora di più per aver previsto il congedo di paternità obbligatorio, anche solo in via sperimentale, che, sottolineo, è previsto da pochissimi Paesi. Infine un punto. L’esiguità della misura riflette gli stringenti vincoli di bilancio e sottolineo inoltre che, proprio per questo, il Ministero la finanzierà con propri, già limitatissimi, fondi.
Premetto che a livello europeo soltanto sedici dei ventisette Stati membri prevedono nei loro ordinamenti i congedi di paternità, che variano da due a dieci giorni e che di solito sono retribuiti sulla stessa base dei congedi di maternità. Inoltre, laddove sono previsti come un periodo di tempo di cui possono usufruire soltanto i padri, ci si riferisce a questi in termini di father’s quota, per cui la distinzione tra congedo di paternità e congedo parentale per i soli padri può apparire confusa.
Ciò detto il nostro Paese, che già presenta una disciplina all’avanguardia in materia di tutela di maternità e congedi parentali, brillerebbe ancora di più per aver previsto il congedo di paternità obbligatorio, anche solo in via sperimentale, che, sottolineo, è previsto da pochissimi Paesi. Infine un punto. L’esiguità della misura riflette gli stringenti vincoli di bilancio e sottolineo inoltre che, proprio per questo, il Ministero la finanzierà con propri, già limitatissimi, fondi.
Per molte donne il problema vero è quello della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questo implica, insieme a nuove politiche di welfare, anche un cambiamento culturale. Ci sono le condizioni?
In qualità di Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle Pari opportunità, sono pienamente convinta che le condizioni ci siano anche se i cambiamenti culturali tendono a essere lenti. Va però compreso che la maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro e una loro migliore tutela avranno riflessi positivi sull’economia e sullo sviluppo del Paese. Non possiamo essere miopi dinanzi al cambiamento del modello di partecipazione delle donne al mondo del lavoro rispetto al passato, quando la donna iniziava a lavorare in giovane età, con minori aspirazioni e con un livello di istruzione più basso rispetto agli uomini e quando comunque la sua partecipazione al mondo del lavoro veniva intrapresa con la consapevolezza che si sarebbe trattato di un’esperienza transitoria. Sappiamo bene che oggi, invece, ci si avvicina al mondo del lavoro in età più avanzata, con un livello di istruzione sicuramente più elevato e con l’intenzione, troppo spesso frustrata, di non abbandonare il lavoro in futuro. È chiara oggi la necessità di cambiare l’attuale condizione del mondo del lavoro e vi sono anche le condizioni per farlo e questo è quanto il Governo si è proposto con il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro presentato al Parlamento per l’approvazione. Per le madri è però ancora difficile, e sono numerose le ricerche che lo documentano, armonizzare i tempi di vita con quelli del lavoro, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, con ripercussioni negative sia sulle scelte di genitorialità sia sulle scelte lavorative delle madri.. Non sorprende pertanto osservare sia il tasso di natalità sia il fatto che la maternità continui a rappresentare il principale motivo di abbandono del lavoro da parte delle donne, il fattore primario che determina lo scivolamento verso l’inattività (o il sommerso) e la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro.
In qualità di Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle Pari opportunità, sono pienamente convinta che le condizioni ci siano anche se i cambiamenti culturali tendono a essere lenti. Va però compreso che la maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro e una loro migliore tutela avranno riflessi positivi sull’economia e sullo sviluppo del Paese. Non possiamo essere miopi dinanzi al cambiamento del modello di partecipazione delle donne al mondo del lavoro rispetto al passato, quando la donna iniziava a lavorare in giovane età, con minori aspirazioni e con un livello di istruzione più basso rispetto agli uomini e quando comunque la sua partecipazione al mondo del lavoro veniva intrapresa con la consapevolezza che si sarebbe trattato di un’esperienza transitoria. Sappiamo bene che oggi, invece, ci si avvicina al mondo del lavoro in età più avanzata, con un livello di istruzione sicuramente più elevato e con l’intenzione, troppo spesso frustrata, di non abbandonare il lavoro in futuro. È chiara oggi la necessità di cambiare l’attuale condizione del mondo del lavoro e vi sono anche le condizioni per farlo e questo è quanto il Governo si è proposto con il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro presentato al Parlamento per l’approvazione. Per le madri è però ancora difficile, e sono numerose le ricerche che lo documentano, armonizzare i tempi di vita con quelli del lavoro, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, con ripercussioni negative sia sulle scelte di genitorialità sia sulle scelte lavorative delle madri.. Non sorprende pertanto osservare sia il tasso di natalità sia il fatto che la maternità continui a rappresentare il principale motivo di abbandono del lavoro da parte delle donne, il fattore primario che determina lo scivolamento verso l’inattività (o il sommerso) e la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro.
Ciò nonostante il lavoro femminile ha assunto una rilevanza crescente…
Questo sia per la domanda di emancipazione da parte delle giovani generazioni, sia per il sistema economico nel suo complesso; infatti, l’Unione europea prima e i singoli Stati membri poi, hanno riconosciuto che l’aumento dell’occupazione femminile è necessario per favorire la sostenibilità del modello sociale, per migliorare il tasso di crescita del sistema economico e per ridurre il rischio di povertà delle famiglie in generale. Il lavoro e la loro progressione di carriera va inoltre di pari passo con la promozione del merito: giacché non è pensabile che la distribuzione delle qualità lavorative sia diversa tra uomini e donne e, per contro, la loro partecipazione al mondo del lavoro e la loro posizione in ruoli di vertice è assai inferiore a quella degli uomini, la conseguenza è un indubbio spreco di talenti.
Cosa risponde a chi sostiene che, per quanto riguarda l’occupazione femminile, la riforma contiene più che altro enunciazioni di principio?
Forse chi sostiene questo non ha letto con attenzione il testo della riforma, un testo complesso e assai articolato. Il disegno di legge mira espressamente a realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, ripristinando allo stesso tempo la coerenza tra la flessibilità del lavoro e gli istituti assicurativi. La riforma è stata concepita per l’inclusione di gruppi deboli se non esclusi e, tra questi, le donne sono in posizione preminente. La parte specificamente dedicata alle donne può apparire modesta, ma come ho già detto ha scontato vincoli di bilancio molto severi. Per di più, se si tiene conto del maggior rischio di disoccupazione al quale le donne sono soggette, l’estensione delle tutele a loro favore non può che essere considerata una buona cosa. Lo stesso dicasi per le politiche attive e i servizi del lavoro che, pur non essendo esclusivamente dedicati alle donne, sono però a favore dei soggetti deboli del mercato del lavoro e, quindi, delle donne stesse. Sottolineo in conclusione una cosa. Il sistema di monitoraggio previsto dall’articolo 2 del disegno di legge sul lavoro renderà possibile un monitoraggio costante dell’efficacia di tutte le norme in esso contenuto. Si potrà così concretamente verificare la reale efficacia anche delle disposizioni relative alle donne che certo non voglio rimangano solo nell’ambito delle buone intenzioni.
Questo sia per la domanda di emancipazione da parte delle giovani generazioni, sia per il sistema economico nel suo complesso; infatti, l’Unione europea prima e i singoli Stati membri poi, hanno riconosciuto che l’aumento dell’occupazione femminile è necessario per favorire la sostenibilità del modello sociale, per migliorare il tasso di crescita del sistema economico e per ridurre il rischio di povertà delle famiglie in generale. Il lavoro e la loro progressione di carriera va inoltre di pari passo con la promozione del merito: giacché non è pensabile che la distribuzione delle qualità lavorative sia diversa tra uomini e donne e, per contro, la loro partecipazione al mondo del lavoro e la loro posizione in ruoli di vertice è assai inferiore a quella degli uomini, la conseguenza è un indubbio spreco di talenti.
Cosa risponde a chi sostiene che, per quanto riguarda l’occupazione femminile, la riforma contiene più che altro enunciazioni di principio?
Forse chi sostiene questo non ha letto con attenzione il testo della riforma, un testo complesso e assai articolato. Il disegno di legge mira espressamente a realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, ripristinando allo stesso tempo la coerenza tra la flessibilità del lavoro e gli istituti assicurativi. La riforma è stata concepita per l’inclusione di gruppi deboli se non esclusi e, tra questi, le donne sono in posizione preminente. La parte specificamente dedicata alle donne può apparire modesta, ma come ho già detto ha scontato vincoli di bilancio molto severi. Per di più, se si tiene conto del maggior rischio di disoccupazione al quale le donne sono soggette, l’estensione delle tutele a loro favore non può che essere considerata una buona cosa. Lo stesso dicasi per le politiche attive e i servizi del lavoro che, pur non essendo esclusivamente dedicati alle donne, sono però a favore dei soggetti deboli del mercato del lavoro e, quindi, delle donne stesse. Sottolineo in conclusione una cosa. Il sistema di monitoraggio previsto dall’articolo 2 del disegno di legge sul lavoro renderà possibile un monitoraggio costante dell’efficacia di tutte le norme in esso contenuto. Si potrà così concretamente verificare la reale efficacia anche delle disposizioni relative alle donne che certo non voglio rimangano solo nell’ambito delle buone intenzioni.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
L’inchiesta è veramente interessante, il ministro Fornero poteva anche risparmiassi questo tono accademico…