Fosse ancora tra noi avrebbe la bellezza di 91 anni. Sarebbe probabilmente ancora un abile mentitore con una ostinata onestà intellettuale. Sarebbe un inguaribile sognatore, così come lo hanno conosciuto quanti gli hanno camminato a fianco. Poi, magari estraniato, preferirebbe volgere lo sguardo altrove, oltre i confini del Paese, su altri luoghi. Ne è convinto Pier Luigi Celli, l’ex direttore generale della Rai, oggi amministratore delegato dell’università Luiss Guido Carli, che a Rimini è stato chiamato a preservarne la memoria. Celli è il presidente della Fondazione dedicata a Federico Fellini. Il maestro del cinema è morto 18 anni fa dopo aver regalato al mondo una sequela praticamente ininterrotta di capolavori, poetici e visionari. Ha lasciato ai posteri un’opera monumentale cesellata con indomabile fantasia, i posteri lo hanno spesso dimenticato. E infatti la Fondazione ha proceduto affaticata tra buchi di bilancio, risorse ridotte all’osso, indifferenze. Persino snobbata, da chi oggi tira le redini del cinema. Prima che Celli ne assumesse la presidenza, su richiesta dei soci – Comune e Provincia di Rimini, Centro sperimentale di cinematografia, Cinecittà Luce, Fondazione Cassa di Risparmio – si erano sfilati Pupi Avati, Giuliano Montaldo. Forse anche per questo Celli dice che a persuaderlo ad accettare l’incarico è stata la disperazione degli altri.
Celli, lei ha accettato di assumere la presidenza della Fondazione in una fase particolarmente critica. Come sta procedendo il risanamento dei conti?
Abbiamo ottenuto dai Soci i fondi per liquidare tutti i conti in sospeso mettendo in liquidazione l’Associazione Fondazione Fellini
Che cosa l’ha spinta ad accettare la presidenza?
La disperazione degli altri
Spesso si ha l’impressione che il rapporto tra la Fondazione e Rimini, ma anche il resto del Paese, non sia facile. Fino ad ora è stata sostenuta solo dal pubblico. Ci sono le condizioni per un feeling anche con i privati? E per un lancio internazionale?
Dipende da quanto si è in grado di progettare e di come i progetti entrino poi nell’immaginario condiviso
Molto si è parlato dell’inconscio di Fellini, delle sua notti popolate da sogni, della sua straripante fantasia. Dal suo Libro dei sogni, acquistato dalla Regione e donato alla Fondazione, è stato tratto un primo ebook. A quando le prossime edizioni?
Appena ci sarà un mercato a richiedere, o da sollecitare
Anche lei è un riminese come Fellini, che con la sua città natale non ha sempre avuto un rapporto idilliaco. Diceva: è solo una dimensione della memoria. Come se lo spiega?
Ci sono terre matrigne, terre invidiose, terre disattente…si può continuare! Ci sono anche terre di recupero
Ci sarà mai un altro Fellini?
E chi può dirlo?
Qual è l’eredità che ha lasciato?
Tante eredità, difficili da enumerare. Ma una soprattutto: la leggerezza
Il cinema, nell’ultima fase della sua vita, lo aveva messo un po’ in disparte. C’è chi dovrebbe sentirsi in colpa?
Erano cambiati i tempi e con ogni probabilità quando si cambia paradigma si pensa che sia più utile… sbaraccare tutto. Poi, col tempo, si capisce.
Ma se oggi Fellini fosse qui, in un Paese che ha messo ai margini la cultura, che spesso appare disinteressato all’arte e alla creatività, secondo lei che direbbe?
Si sentirebbe un estraneo. Forse penserebbe di emigrare
Prossimi progetti della Fondazione?
Sui progetti lavorerà il direttore generale, che è bravissimo e competente. A noi compete creargli le condizioni migliori perché possa operare.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore