Il modello scandinavo è un ancora un faro ma non replicabile in Italia. Troppo piccolo il Nord Europa, troppo grande il nostro Paese. Dove le donne, a parità di ruoli, continuano ad avere retribuzioni più basse di quelle degli uomini. Dove il tasso di disoccupazione femminile è ancora troppo alto. Il pericolo è la rassegnazione, la paura che la battaglia sia persa. “E invece le giovani donne devono sentirsi coinvolte – dice Alessandra Servidori, Consigliera nazionale parità-. E’ necessario individuare nuove soluzioni innovative e flessibili sul luogo di lavoro. Senza perdersi in nostalgie”.
Prima di tutto: qual è il compito principale di una consigliera di parità?
Le Consigliere di parità, nell’ambito dello sviluppo delle politiche attive e delle azioni di contrasto alle discriminazione sui luoghi di lavoro, svolgono programmi concreti strettamente connesse alle strategie indicate dall’Europa per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro in collaborazione con le parti sociali.
Spesso però si ha l’impressione che le varie Commissioni per le pari opportunità siano svuotate di ogni potere, di fatto ininfluenti. Come mai?
L’Italia si è adeguata alle normative europee adottando organismi di governance e di controllo delle politiche di pari opportunità in campo pubblico e privato. Ma il limite è sempre quello di una mancanza di collaborazione – e non solo tra i diversi livelli istituzionali – di una parcellizzazione delle risorse, con uno spacchettamento delle deleghe che, nel tempo, ha depotenziato questi organismi. Ora con la delega alle Pari opportunità che il ministro Elsa Fornero esercita insieme al lavoro e alle politiche sociali, si presenta l’occasione per riordinare tutta la materia.
Resta il fatto che in Italia il tasso di disoccupazione femminile è sensibilmente più alto di quello maschile, mentre le retribuzioni medie sono più basse. Quanto tempo ci vorrà affinchè le donne nell’accesso al lavoro e alla carriera abbiano effettivamente le stesse opportunità degli uomini?
E’ un problema che riguarda non solo noi ma tutti gli Stati europei. Addirittura, stando ai dati Eurostat, il differenziale retributivo e salariale nel nostro Paese è il più basso, pari al 4,9% a fronte di una percentuale media in Europa che viaggia intorno al 17%. I numeri sono invece più alti prendendo in considerazione i dati Isfol. Il problema è sempre uno solo: bisogna adottare sistemi e criteri uniformi in contesto europeo. E, comunque, praticare politiche di controllo delle voci e dei livelli della retribuzione, delle indennità assegnate, dei percorsi di carriera, con strumenti antidiscriminatori
Ogni volta che si parla di pari opportunità si finisce per discutere della conciliazione tra orari di lavoro e carichi famigliari. Ma è un dibattito davvero ancora attuale? Se ne parla da decenni e la situazione non sembra molto migliorata…
Vero è che l’organizzazione del lavoro e il bilanciamento con i tempi di vita è e rimane uno dei problemi fondamentali. Ora il ministro Fornero ha inserito nel suo programma la produttività e la flessibilità lavorativa, proprio anche per sviluppare e agevolare l’occupazione femminile.
Però molte donne cominciano a pensare che sia una battaglia persa. La rassegnazione è pericolosa?
Certo che è pericolosa, le giovani donne hanno bisogno di sentirsi coinvolte. Ed è necessario cercare soluzioni innovative e flessibili: non è tempo di lasciarsi andare alle nostalgie, il mercato del lavoro è profondamento cambiato
Di che armi dispone oggi una donna che viene discriminata sul posto di lavoro. Sono effettivamente efficaci?
Bisogna prima di tutto conoscere le norme che governano il mercato del lavoro, così come il settore in cui ci si trova ad operare. Qualora non ci sia chiarezza sul tipo di trattamento è è necessario rivolgersi ai patronati. Ma soprattutto, in caso di presunta discriminazione, ci si può rivolgere alla consigliera di parità territoriale o regionale. Su delega della lavoratrice la consigliera può agire per trovare una conciliazione o rivolgersi anche al giudice del lavoro. Le consigliere di parità inoltre, hanno anche un altro ruolo: quello di sviluppare sul territorio ogni azione utile a promuovere le politiche attive, come l’incontro tra domanda e offerta e la formazione. Noi poi, a livello nazionale, facciamo la nostra parte con l’Osservatorio sulla contrattazione decentrata e sulle prassi di conciliazione. Raccogliamo, monitoriamo, divulghiamo e implementiamo l’attività delle parti sociali, sindacati e associazioni di categoria
Si prende spesso ad esempio il modello scandinavo. Ma nel nostro Paese è replicabile?
La Svezia è territorialmente grande come la Lombardia e nessun sistema di welfare è trasportabile per storia e sistema su di una altra realtà. Noi poi abbiamo una struttura del sistema di protezione sociale che ha caricato su 3 rubinetti della spesa pubblica i costi maggiori: istruzione, previdenza, sanità. Questo a scapito della spesa per sostenere le famiglie, che poteva rappresentare anche un sistema di sviluppo della conciliazione a favore del lavoro femminile. Ma una effettiva applicazione delle pari opportunità dipende anche dalla capacità di conquistare uguaglianza di ruoli nell’ambito della coppia. E’ necessario sviluppare scelte di policy per un mercato del lavoro family friendly, che oltre a colmare i divari territoriali riesca a modificare un sistema di welfare fortemente appiattito sul modello di male del maschio capofamiglia.
Prima di tutto: qual è il compito principale di una consigliera di parità?
Le Consigliere di parità, nell’ambito dello sviluppo delle politiche attive e delle azioni di contrasto alle discriminazione sui luoghi di lavoro, svolgono programmi concreti strettamente connesse alle strategie indicate dall’Europa per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro in collaborazione con le parti sociali.
Spesso però si ha l’impressione che le varie Commissioni per le pari opportunità siano svuotate di ogni potere, di fatto ininfluenti. Come mai?
L’Italia si è adeguata alle normative europee adottando organismi di governance e di controllo delle politiche di pari opportunità in campo pubblico e privato. Ma il limite è sempre quello di una mancanza di collaborazione – e non solo tra i diversi livelli istituzionali – di una parcellizzazione delle risorse, con uno spacchettamento delle deleghe che, nel tempo, ha depotenziato questi organismi. Ora con la delega alle Pari opportunità che il ministro Elsa Fornero esercita insieme al lavoro e alle politiche sociali, si presenta l’occasione per riordinare tutta la materia.
Resta il fatto che in Italia il tasso di disoccupazione femminile è sensibilmente più alto di quello maschile, mentre le retribuzioni medie sono più basse. Quanto tempo ci vorrà affinchè le donne nell’accesso al lavoro e alla carriera abbiano effettivamente le stesse opportunità degli uomini?
E’ un problema che riguarda non solo noi ma tutti gli Stati europei. Addirittura, stando ai dati Eurostat, il differenziale retributivo e salariale nel nostro Paese è il più basso, pari al 4,9% a fronte di una percentuale media in Europa che viaggia intorno al 17%. I numeri sono invece più alti prendendo in considerazione i dati Isfol. Il problema è sempre uno solo: bisogna adottare sistemi e criteri uniformi in contesto europeo. E, comunque, praticare politiche di controllo delle voci e dei livelli della retribuzione, delle indennità assegnate, dei percorsi di carriera, con strumenti antidiscriminatori
Ogni volta che si parla di pari opportunità si finisce per discutere della conciliazione tra orari di lavoro e carichi famigliari. Ma è un dibattito davvero ancora attuale? Se ne parla da decenni e la situazione non sembra molto migliorata…
Vero è che l’organizzazione del lavoro e il bilanciamento con i tempi di vita è e rimane uno dei problemi fondamentali. Ora il ministro Fornero ha inserito nel suo programma la produttività e la flessibilità lavorativa, proprio anche per sviluppare e agevolare l’occupazione femminile.
Però molte donne cominciano a pensare che sia una battaglia persa. La rassegnazione è pericolosa?
Certo che è pericolosa, le giovani donne hanno bisogno di sentirsi coinvolte. Ed è necessario cercare soluzioni innovative e flessibili: non è tempo di lasciarsi andare alle nostalgie, il mercato del lavoro è profondamento cambiato
Di che armi dispone oggi una donna che viene discriminata sul posto di lavoro. Sono effettivamente efficaci?
Bisogna prima di tutto conoscere le norme che governano il mercato del lavoro, così come il settore in cui ci si trova ad operare. Qualora non ci sia chiarezza sul tipo di trattamento è è necessario rivolgersi ai patronati. Ma soprattutto, in caso di presunta discriminazione, ci si può rivolgere alla consigliera di parità territoriale o regionale. Su delega della lavoratrice la consigliera può agire per trovare una conciliazione o rivolgersi anche al giudice del lavoro. Le consigliere di parità inoltre, hanno anche un altro ruolo: quello di sviluppare sul territorio ogni azione utile a promuovere le politiche attive, come l’incontro tra domanda e offerta e la formazione. Noi poi, a livello nazionale, facciamo la nostra parte con l’Osservatorio sulla contrattazione decentrata e sulle prassi di conciliazione. Raccogliamo, monitoriamo, divulghiamo e implementiamo l’attività delle parti sociali, sindacati e associazioni di categoria
Si prende spesso ad esempio il modello scandinavo. Ma nel nostro Paese è replicabile?
La Svezia è territorialmente grande come la Lombardia e nessun sistema di welfare è trasportabile per storia e sistema su di una altra realtà. Noi poi abbiamo una struttura del sistema di protezione sociale che ha caricato su 3 rubinetti della spesa pubblica i costi maggiori: istruzione, previdenza, sanità. Questo a scapito della spesa per sostenere le famiglie, che poteva rappresentare anche un sistema di sviluppo della conciliazione a favore del lavoro femminile. Ma una effettiva applicazione delle pari opportunità dipende anche dalla capacità di conquistare uguaglianza di ruoli nell’ambito della coppia. E’ necessario sviluppare scelte di policy per un mercato del lavoro family friendly, che oltre a colmare i divari territoriali riesca a modificare un sistema di welfare fortemente appiattito sul modello di male del maschio capofamiglia.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
Infatti anni, ancora con le stesse identiche cose
Ma esiste la conciliazione? Sono anni che si parla delle stesse cose…