La proposta di lasciare il Tfr in busta paga converrà al dipendete? Quanto potremmo prendere in più? E quali saranno le conseguenze per le aziende e per la stessa Inps?
Tfr in busta paga: la proposta che sta animando in questi giorni la discussione politica, assieme alla sempreverde discussione sull’abolizione dell’articolo 18, non è stata ancora ben chiarita ma potrebbe avere conseguenze importanti per le nostre tasche. Ancora nessuna bozza di disegno legge, una proposta che è tale ma che fa sorgere qualche dubbio.
Tfr, che cos’è?
Il Trattamento di fine rapporto, un tempo meglio noto come liquidazione, fa a tutti gli effetti parte dello stipendio del lavoratore dipendente. L’unica differenza è che non si ricevono materialmente subito i soldi in busta paga ma in un’unica soluzione alla fine della sua vita lavorativa (tradotto: se deve andare in pensione, se cambia lavoro e dà le dimissioni, se viene lasciato a casa con licenziamento).
Se si è lavorato per almeno 8 anni nella stessa azienda si può chiedere un anticipo del Tfr (fino ad un massimo del 70%): questa possibilità può verificarsi in specifiche circostanze (acquisto della prima casa propria o dei propri figli; necessità di far fronte a urgenti spese sanitarie per cure e interventi straordinari).
Come si fa il calcolo del Tfr?
Il calcolo non è semplicissimo: proviamo a spiegarvelo. Il Tfr accantonato annualmente corrisponde al totale da riceversi nell’anno diviso per 13,5. In sostanza è circa uno stipendio, una sorta di tredicesima, accantonata. Se si lavora meno di un mese la quota messa da parte è proporzionalmente ridotta. Tutti gli anni si aggiunge un incremento fisso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione di quell’anno stesso.
Non ci avete capito molto? Bene vi facciamo un piccolo esempio con numeri: se si guadagnano 1000 € al mese il Tfr totale annuo che si maturerà sarà di circa 1037 € (1000 x 14 mensilità = 14000; 14000/13,5=1037). Tale quota si rivaluterà ogni anno nelle modalità sopra descritte.
Tfr in busta paga: quanto prenderemmo?
E qui iniziano i problemi. Innanzi tutto la facoltà di ricevere il Tfr in busta paga, a quanto si legge, resterebbe a libera scelta del lavoratore. Si potrebbe prendere il 50% del Tfr per uno o tre anni, che si aggiungerebbe al nostro stipendio mensile oppure si riceverebbe in un’unica soluzione come una sorta di tredicesima/quattordicesima/quindicesima.
Se restiamo ai calcoli dell’esempio di cui sopra (1000 € di stipendio) al mese si assommerebbero sui 40 €, circa 500 € se liquidati in un’unica soluzione.
Lo scopo è ovvio: aggiungere liquidità nelle tasche dei lavoratori e quindi permettere loro di consumare di più.
Occhio alle tasse
Il calcolo che abbiamo fatto è puramente matematico. Va tenuto però conto della tassazione. Ad oggi sul Tfr c’è un’aliquota minore ma se rientrasse nella busta paga subirebbe la tassazione normale dello stipendio. In sostanza il rischio è quello che quanto potremmo ricevere subito sia un meno di quanto potremmo avere a fine rapporto.
Inoltre il Tfr funge da “sostegno” aggiuntivo per pensioni non certo di entità elevatissima, cosa che con il suo trasferimento nella busta paga non avverrebbe più.
Le imprese e l’Inps sono in grado di sostenere il Tfr in busta paga?
Attualmente la quota Tfr è inserita nel bilancio aziendale. Ma se tale uscita risulta a livello contabile e ha valore sul conto economico e lo stato patrimoniale dell’azienda, poi materialmente i soldi che escono sono solo quelli delle liquidazioni dei soli dipendenti a fine rapporto o che richiedono l’anticipo. Quindi una piccola parte del totale.
La gran parte del Tfr viene tenuto in azienda, reinvestito, o per quanto riguarda l’Inps utilizzato per la sua spesa corrente. Se venisse lasciato al lavoratore la stessa Inps dovrebbe trovare risorte ingenti (le stime parlano di un totale da 2 a 3 miliardi l’anno, non facilissimo da coprire, ma anche in questo caso si leggono cifre molto differenti).
Il premier Renzi ha parlato di un accordo con Abi per usare i soldi della Bce per coprire questo esborso. Ma vista la stretta del credito è complicato immaginare come una soluzione di questo genere possa effettivamente essere realizzata.
Vedi anche: Contratto a tutele crescenti: fregatura o mezzo per ridurre la disoccupazione?