Italia e Fiat: due storie parallele. Gli anni del boom di Sanremo e della seicento, ma anche della febbre del sabato sera, del terrorismo e della Duna. Due storie che si intrecciano e che raccontano un paese. Da poveri ma belli a poveri e nemmeno tanto belli.
Ricordate la bellissima canzone di Roberto Vecchioni, “Luci a San Siro?”. E’ del 1980, ma potrebbe essere stata scritta tranquillamente oggi. “Milano mia portami via, fa tanto freddo, ho schifo e non ne posso più/ facciamo un cambio, prenditi pure quel po’ di soldi quel po’ di celebrità/ ma dammi indietro la mia 600, i miei vent’anni e una ragazza che tu sai”. Già, la Fiat 600, l’icona dell’Italia del boom. Di quando cominciavamo a non essere più poveri, ma eravamo ancora belli. Ma soprattutto, convinti di avere davanti un futuro radioso, convinzione decisamente appannata oggi. Epoca in cui, per rimanere a Vecchioni, la sensazione è che “luci a San Siro non se ne accenderanno più”. O forse sì, chissà. Certo è che difficilmente torneranno a brillare come prima.
Nonostante i tenui segnali di ripresa. Dell’Italia e, naturalmente, dell’azienda-simbolo che per oltre un secolo ne ha condiviso le sorti, nel bene e nel male: la Fabbrica Italiana di Automobili Torino, la Fiat. Che però, per competere in un mercato sempre più globale, ha dovuto tingere il tricolore con stelle e strisce, prima fondendosi e poi acquistando per intero l’americana Chrysler. Un’operazione iniziata nel 2009. Una scelta indubbiamente vincente, anche se ha aperto la strada a una Fiat sempre meno italiana. Rinunciando probabilmente per sempre a un’identificazione storica con un Paese che, contrariamente all’ormai italo-americana Fiat Group Automobiles (FGA), fatica enormemente ad uscire dalle secche della recessione.
Italia e crescita
Nel 1955 invece, l’Italia cresceva dopo gli anni cupi del dopoguerra. Dappertutto sorgono nuove sale cinematografiche. Grandi e piccini si commuovono per il più grande successo del momento: “Marcellino Pane e vino”. A Sanremo si tiene la quinta edizione del festival della canzone italiana. Vince il divo del momento, Claudio Villa, con “Buongiorno tristezza”. Cantata però, per la prima volta, in playback.
Spuntano le balere come funghi. Vecchi e giovani si dividono tra polke e valzer da un lato, twist e boogie-woogie dall’altro. E pure qualche spruzzata di rock ‘n roll. Senza esagerare però: ai bordi della pista i familiari sorvegliano seduti per tutta la serata. Gli uomini devono rispettare i “limiti della decenza” evitando di stringere eccessivamente le ragazze” o, peggio, di “abbandonarsi a lascivi toccamenti”.
C’è voglia di divertirsi. E qualche soldo comincia finalmente a girare. Lo stipendio di un operaio ammonta a circa 40 mila lire al mese. 25 lire costano i giornali e un biglietto del tram. 40 lire un caffè, 150 un kg di pane. Per un litro di benzina ci vogliono 138 lire.
Gli anni del boom economico in Italia
E poi arriva la Fiat 600. Come lei nessuno mai, prima. Nella velocità, 90 km all’ora in piena corsa, ma anche nel prezzo: 590 mila lire. Con la possibilità di pagarsela a rate. E’ boom di vendite. Già al primo anno di lancio, il 1955 appunto, i tempi di attesa per avere l’agognata utilitaria raggiungono i 12 mesi. Troppe le richieste. Dopo la 600, a stretto giro di ruota escono la variante 600 Multipla, la prima monovolume per famiglie e, nel 1957 la Nuova 500. Vettura leggendaria che fino al 1972, anno in cui verrà sostituita dalla dimenticata e dimenticabile 126, sarà l’auto degli italiani.
Il periodo del terrorismo in Italia
Negli anni ’70 invece la pacchia sembra finita. Per l’Italia e per la Fiat. La memorabile crisi petrolifera del 1973 con il prezzo del greggio quadruplicato, costringe ad inventarsi le domeniche a piedi. Blocco totale della circolazione. Al più, tutti in bicicletta. Come ai vecchi tempi. A Torino, Mirafiori è bloccata da scioperi un giorno sì e uno no. Nelle piazze gli opposti estremismi si prendono a mazzate. E a volte ci scappa il morto. Il terrorismo di destra e di sinistra imperversa mirando alla sovversione dello Stato. In Italia c’è paura.
La paga media di un operaio nel 1975 è di 154 mila lire, i tram costano 100 lire, i giornali 150. Un caffè 120 e il pane 450 al kg. La benzina 305 lire al litro. A Sanremo vince l’ormai dimenticata Gilda con “Ragazza del sud”. Una canzone che racconta un’Italia che sta scomparendo: “Ragazza che ti affretti, perché suona la messa, cammini a testa bassa, sorridi a chi conosci. Sei nata in un paese di aranci e oleandri, ti hanno insegnato a credere, a vivere aspettando lui.”. Ma nella miriade di radio libere che nascono in ogni angolo del Paese, si ascolta tutt’altro.
A farla da padrone sono i cantautori italiani: De André, Rino Gaetano, De Gregori, Venditti e tanti altri. Eugenio Finardi celebra la nuova musica ribelle, “che ti vibra nelle ossa, ti entra nella pelle”. Per chi invece vuole dimenticare guai e affanni, basta un bel tuffo in disco. Il film che immortala quell’epoca, La febbre del sabato sera, è del 1977. Un John Travolta indimenticabile interpreta il Tony Manero che è in tutti noi. “Noi” intesi come maschi.
Il declino dell’Italia
Da allora in poi, a guardare con gli occhi di oggi, il declino sembra essere irreversibile per il Belpaese. Secondo un rapporto del luglio scorso del Fondo Monetario Internazionale, serviranno almeno 20 anni perché la nostra economia torni ai livelli pre-crisi del 2008. E vanno riviste alla luce del presente anche certe performance di cui ci siamo vantati a lungo: perché se è vero che gli anni ’80 hanno segnato una nuova imperiosa crescita, non bisogna dimenticare che quel benessere è stato ampiamente drogato dalla crescita del debito pubblico che oggi ci ritroviamo sul groppone. Infatti, se nel 1980 il rapporto debito/PIL era del 55%, dieci anni dopo passa a 94,7 punti. Quasi il doppio. A rileggerli con gli occhi di oggi quindi, gli anni della Milano (e di un intero paese) “da bere” paiono decisamente meno brillanti, come il modello Fiat che ha concluso quel decennio: la Duna, nata nel 1987 e ancora oggi considerata l’auto più brutta di sempre nella storia della casa automobilistica torinese. Tanto da costringerla interrompere la produzione, per la scarsità di vendite, quattro anni più tardi, nel 1991.
L’Italia e la Fiat oggi
E oggi? Come abbiamo detto, dopo oltre un secolo Fiat e Italia hanno preso strade diverse. La prima sale, la seconda scende. Beh no, non è proprio così tragica. Basta vedere il bicchiere mezzo pieno: sia Fiat che l’Italia sono nella top ten delle rispettive classifiche economiche. Fiat (come Fiat-Chrysler Group però) è al settimo posto tra le marche più vendute al mondo: nel 2014 ha venduto complessivamente 4.558.007 vetture con un incremento del 5,8% rispetto all’anno precedente. L’Italia è pur sempre l’ottava economia del pianeta, anche se negli ultimi venti anni siamo il paese che ha registrato le più basse dinamiche di crescita del Pil pro capite tra i 28 paesi dell’unione europea e le 10 principali economie.
Questi il passato e il presente. E il futuro? Torneremo a volare? L’italo-americana FGA del criticatissimo (qui da noi) AD Sergio Marchionne, pare proprio di sì. La scelta di abbandonare la dimensione “locale” che ha caratterizzato l’azienda torinese per un secolo e passa, ha sicuramente pagato e pagherà. Tutto da vedere invece quanto i possibili futuri successi di una Fiat globale si riverbereranno sul paese che le ha fatto da culla, sostenendola a suon di miliardi di vecchie lire nei momenti più difficili della sua storia.
E il futuro dell’Italia intera invece, Fiat o non Fiat? Per i segnali che abbiamo in mano, ci vorrebbe davvero la sfera di cristallo per azzeccare cosa ci riserva il futuro. Che si sia diventati più poveri è indubbio. L’auspicio è che, almeno, si torni ad esser belli.
Giornalista e videomaker freelance, ha realizzato diversi documentari di argomento politico e sociale. Nato come blogger, ha collaborato con diversi quotidiani e settimanali, anche come giornalista d’inchiesta. Lavora e vive a Modena.