Il governo Gentiloni si appresta a chiedere la fiducia e nei prossimi mesi dovrà far fronte a compiti estremamente difficili. Eccoli in 5 punti
L’ex ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha ricevuto l’incarico per formare il nuovo governo dopo le dimissioni dell’esecutivo di Matteo Renzi. Si tratterà con tutta probabilità di un governo a termine, fino alla primavera e a possibili nuove elezioni, ma non è nemmeno detto che non riesca a tirare fino alla fine naturale della legislatura, nel 2018. Al di là della durata, il nuovo esecutivo si troverà di fronte compiti di una certa difficoltà.
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Approvare la legge elettorale
L’esecutivo Gentiloni potrà contare sulla stessa attuale maggioranza con forse l’aggiunta ufficializzata di Ala, il partito guidato da Denis Verdini, che dovrebbe ottenere almeno un ministero. È subito sfumata la prospettiva di “unità nazionale” per l’indisponibilità degli altri partita a partecipare. Gran parte delle opposizioni vogliono le elezioni, ma il problema principale è che abbiamo due leggi elettorali completamente diverse per la Camera (Italicum, un doppio turno con forte premio di maggioranza al partito vincitore) e per il senato (Consultellum, un proporzionale con piccoli sbarramenti).
Votare con due leggi del genere darebbe una probabile maggioranza Cinque Stelle o Pd (stanti gli attuali valori) alla Camera e una situazione tri o quadripolare al senato con 3-4 forze a dividersi una quota di eletti tra il 15 e il 25%. In sostanza: ingovernabilità e impossibilità di costituire maggioranze.
La prima necessità del nuovo esecutivo e della maggioranza che lo sostiene è dunque trovare una formula elettorale che sia coerente per le due Camere. Qualcuno (Cinque Stelle) propone di spostare l’Italicum anche al senato (ma l’Italicum tra circa un mese sarà valutato dalla Corte Costituzionale e rischia di perdere il premio di maggioranza), altri (Forza Italia) di passare ad un proporzionale puro con sbarramenti bassissimi (2%). Trovare la quadra tra questi opposti sarà molto complicato.
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La manovra è passata ma i conti sono ballerini
La manovra Finanziaria è stata approvata in fretta e furia, visto che il governo Renzi era già dimissionario. Il ministro Padoan aveva promesso in sede europea correzioni da apportarsi al Senato per cementare meglio i conti. Le correzioni non sono state effettuate e la manovra è passata con molti capitoli di spesa: il limite di spesa è rimasto sotto il rapporto 3% deficit-Pil, come previsto dai trattati, ma la correzione del deficit strutturale è minima (0,1%, la U.E. chiedeva almeno lo 0,7%).
Senza entrare in tecnicismi: ogni stato può fare annualmente un po’ di debito che non superi una quota del 3% deficit-pil; all’Italia, però, visto l’enorme debito strutturale, si chiede uno sforzo in più per raggiungere realmente quel pareggio del bilancio che significherebbe cominciare anche a ridurre il debito italiano complessivo. Il ministro Padoan, se resterà nel Governo, o ogni suo successore probabilmente dovrà pensare a una qualche manovra aggiuntiva (già richiesta dall’Eurogruppo dello scorso 5 dicembre, si parla di una cifra intorno ai 5 miliardi, che non è affatto poco) per portare più Euro in cascina.
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La situazione precaria delle banche
Mps si trova di fronte ad un aumento di capitale che probabilmente non troverà investitori disposti ad accollarsi l’onere di ricapitalizzare un’impresa molto compromessa. Dietro l’angolo resta quindi il possibile intervento dello stato, con tutte le problematiche che questo può dare a livello di vincoli europei (l’intervento di stato è possibile solo in presenza di rischio concreto per la stabilità del sistema finanziario del singolo Paese e dunque della stessa Unione). L’intervento di stato deve essere comunque “necessario e proporzionale”: in pratica lo stato potrà mettere esclusivamente i soldi necessari a garantire il non-fallimento. Basteranno? Ad ogni modo il pubblico sarà tenuto a disimpegnarsi dalla sua partecipazione alla banca appena la situazione di mercato lo renderà possibile.
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L’ennesima crisi di Alitalia
200 milioni di buco. 300 milioni, 400 milioni di buco. Fa impressione leggere ancora queste stime (attualmente solo giornalistiche, si attendono news più ufficiali) dell’ennesimo rosso nei conti di Alitalia, un’azienda che poteva essere ceduta anni fa e invece è passata da due dolorosi “salvataggi”, con tanto di bad company che ha fatto accollare allo stato il grosso dei debiti del recente passato. Alitalia si trova in situazione problematica, probabilmente i soci italiani dovranno sborsare almeno 100 milioni per coprire il buco annuale. Il gruppo dovrà poi annunciare le sue scelte strategiche per il futuro: continuare con l’alleanza con Klm e Air France o saltare il fosso sperando in qualcosa di meglio, magari riprendendosi i redditizi slot di Linate? La mediazione di un governo forte sarà essenziale in questa situazione.
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Migranti, sisma, tutti i capitoli di crisi aperti
Siamo in pieno inverno, i flussi migratori sono calati, quasi fermi nonostante un ottobre da record di arrivi. Eppure occorrerà prepararsi molto in fretta alla primavera, con una Libia ancora nel caos (il premier sostenuto dall’Onu, Al Serraj praticamente non controlla di fatto nemmeno la capitale Tripoli) e una prevedibile nuova ondata migratoria che passerà i 100 mila arrivi (gli spostamenti nel Mediterraneo sono stati 352 mila nel 2016, di cui 174 mila verso l’Italia, alla data attuale). I costi del sisma, inoltre, dalla prima assistenza con il motore della Protezione civile a coordinare, a quelli dell’inizio di ricostruzione rappresenteranno un altro capitolo di spesa corposissimo in una situazione generale che non permette grandi spostamenti di bilancio.