“Le serie tv oggi sono più avanti del cinema”. Intervista a Marco Bonini, attore della fiction di Rai 1 “Cuori” e artista di grande esperienza anche nel teatro e nel cinema.
Lo vediamo ogni domenica sera in onda su Rai 1 con la fiction “Cuori” – ambientata nell’ospedale Le Molinette di Torino alla fine degli anni ’60 – dove interpreta l’anestesista Ferruccio Bonomo. Ma Marco Bonini è un volto noto della televisione, del teatro e del cinema italiano da molti anni. Artista di grande esperienza, ha sempre portato avanti una ricerca in più ambiti come attore, autore e sceneggiatore. È di quest’anno il documentario dedicato a Gigi Proietti che Bonini ha scritto con Edoardo Leo, da sempre suo amico e collaboratore. Ma non solo: Bonini, tra una fiction e uno spettacolo teatrale, ha trovato il tempo anche per scrivere libri, sia romanzi sia saggi. Di questo e molto altro abbiamo parlato con lui.
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Intervista a Marco Bonini
Cos’hai trovato di interessante nel personaggio che interpreti, l’anestesista Ferruccio Bonomo?
È un personaggio che ho amato molto per le sue debolezze. È un maschilista anaffettivo che spera di non soffrire per amore anestetizzando il suo cuore come fa con i suoi pazienti, ma avrà, come spero abbia tutto il genere maschile, da ricredersi. Un cuore anestetizzato non percepisce il dolore, ma neanche l’amore!
Pensi che adesso, con i teatri ritornati più o meno alla normalità, si possa davvero ripartire?
Me lo auguro insieme a tutta UNITA, l’associazione di categoria che ho contribuito a fondare nel 2020 (www.associazioneunita.it).
Vista la tua lunga esperienza, fra teatro, cinema e tv, pensi che le fiction italiane negli ultimi anni siano qualitativamente migliorate?
Direi di sì, la serialità televisiva è oggi più avanti del cinema.
Pensi che ci sia spazio per il teatro in televisione?
Oltre ad un fondatore sono stato un consigliere del direttivo dell’associazione di categoria UNITA, e ho seguito personalmente le vicende dei diritti connessi di questo nuovo ibrido audiovisivo che è il teatro in streaming. Certo è che la smartizzazione e digitalizzazione della vita non poteva non investire anche il teatro o più in generale lo spettacolo dal vivo, quindi ben vengano le piattaforme che coprono lo streaming del teatro e con esse la normativa sul diritto di immagine e d’autore, ma l’esperienza teatrale live e non potrà mai essere sostituita da una esperienza mediata da una ripresa da remoto. Semplicemente perché si tratta di due esperienze diverse. È come il concerto dal vivo. Vedere i corpi di un ballerino, sentire i fiati degli interpreti, come vedere le mani di un pianista che magicamente si commuovono davanti a te, a pochi metri è insostituibile.
Nella tua carriera hai sempre cercato di evitare gli stereotipi e anzi ribaltarli. Non solo come attore ma anche come autore. È possibile farlo anche all’interno della tv italiana?
Deve essere possibile! Sempre! Ci provo disperatamente ogni giorno, delle volte ci riesco delle volte no, ma desistere non è una opzione contemplata.
Esiste un problema di sessismo nel mondo dello spettacolo italiano? Teatro, cinema, tv: capita che le donne vengano discriminate?
Esiste un problema di sessismo nel mondo. Quindi anche in quello dello spettacolo italiano. Ma io credo che la questione di genere non si possa ridurre a una questione, amministrativa, legislativa, sociologica o peggio di giustizia penale o civile. Il problema è filosofico. Finché non interiorizzeremo una grande rivoluzione emotiva a livello globale che ridefinisca i campi delle identità di genere, maschile e femminile, rimarremo ancorati al sistema patriarcale. Un sistema magari calmierato, moderato, rivisto, revisionato, riformato, ma sempre lo stesso sistema. Si deve fare un lavoro culturale lunghissimo e profondissimo per ridefinire le identità di genere e i diritti ad esse connessi a partire dalla genitorialità. L’identità di genere si passa nei primi anni di vita e ce la passano i nostri omologhi di genere, madre e padre. Noi dobbiamo allevare dei giovani che diventeranno genitori negativizzati al virus del patriarcato e che allora cresceranno figli (nostri nipoti) SEXISM-FREE.
Secondo te in futuro vedremo più prodotti cinematografici e televisivi che raccontino e diano spazio alle minoranze, che tanto minoranze ormai non sono… Pensiamo ad esempio ai giovani afrodiscendenti italiani. Sono tantissimi, eppure poco o niente rappresentati, e non a caso preferisco i prodotti esteri. Le cose potrebbero cambiare?
Nel 2006 ho scritto, prodotto e interpretato una commedia che parla proprio di identità fluida degli immigrati di seconda generazione (Billo – Il grand Dakhaar). Il tema è centrale e non si potrà non affrontare, se saremo miopi a questo ci esporremo a fortissime tensioni sociali. Eludere la multi-etnicità o la multi-culturalità è come eludere la questione ambientale. Ma come vediamo siamo bravissimi nell’elusione… qui in Italia anche nell’evasione.
Quali sono stati gli attori e le attrici che ti hanno ispirato di più?
I 5 colonnelli della commedia all`italiana: Sordi, Gassman, Manfredi, Mastroianni e Tognazzi.. ai quali aggiungerei anche Monica Vitti, Mariangela Melato, Franca Valeri e Giovanna Ralli. Icone del nostro stralunato e raffinatissimo modo, tutto italico, di ridere nel dramma!
Che consigli daresti ad aspiranti giovani attori e attrici? Quali errori evitare a inizio carriera?
Di nuovo cito Monica Vitti che durante una lezione al centro sperimentale di cinematografia a questa nostra domanda ha risposto: “Fatelo solo se è una questione di vita o di morte, perché sarà tutto contro di voi!”
Ci consigli tre libri e ci spieghi perché per te sono importanti?
Il Cavaliere Inesistente. Calvino. Perché solo giocando con la sublime evanescenza della fantasia si può fare questo mestiere. Amleto, nella frase dedicata all’attore che si abbandona alle lacrime per un personaggio inventato: “Chi è Ecuba per me o io per Ecuba, se non un semplice sogno di passione” In questa battuta c’è tutto ciò che c’è da sapere del nostro mestiere. Il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx dove si dice che l’obiettivo della rivoluzione è quello di arrivare ad “una associazione dove il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti” . Non credo sia difficile essere d’accordo con questa posizione che è applicabile ancora anche per la attualissima questione di genere, come alla difficile carriera di un artista.
Che ricordo hai di Gigi Proietti come attore? Perché è stato importante per il teatro e lo spettacolo italiano?
Sono reduce da una bellissima proiezione al Festival di Roma del documentario di Edoardo Leo “Luigi Proietti in arte Gigi” che ho scritto con Edoardo. Abbiamo deciso di raccontare proprio la funzione artistica di Proietti. Gigi ha saputo dimostrare sul campo che la cultura con C maiuscola deve essere popolare. Compito di un attore è renderla fruibile a tutti. L’attore, come lo è stato Proietti, è un funzionario di servizio pubblico. In particolare è l’operatore delle emozioni collettive e in quanto tale, deve amalgamare il ricco e il povero, il colto e l’ignorante in una unica risata. Questo è ciò che raccontiamo nel documentario, il talento di Proietti di raccogliere tutta la società intorno ad una risata. È questo il tema anche del mio prossimo libro.
A questo proposito, di cosa parla il tuo prossimo libro?
In primavera uscirà con La Nave di Teseo il mio nuovo Libro “L’arte dell’esperienza”, un saggio di filosofia della recitazione che Michela Marzano ha premiato con il Premio Inedito colline di Torino 2020 nella sezione saggistica. Ho cercato di raccontare la funzione pubblica del nostro lavoro e della tecnica. Imparare a recitare dovrebbe essere una materia scolastica curricolare, perché aiuta l’alfabetizzazione emotiva di tutta la popolazione. Imparare a gestire le emozioni è come imparare la grammatica italiana, ha una tecnica e una linguistica e va esercitata esattamente come si esercita un interprete professionista.
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