Tutto partito dalla regina Rania di Giordania. Un giorno la scrittrice Patrizia Finucci Gallo lesse una intervista rilasciata dalla moglie di re Abd Allah a un settimanale italiano. Una intervista che era quasi una sfida alle donne italiane a penetrare la corazza del velo, a ricomporre quell’immagine delle donne islamiche – fatta di di sottomissione, violenza, identità negata, lapidazioni – che arriva a noi occidentali filtrata dai mass media.Finucci Gallo accolse quella sfida. Voleva capire quanto c’era di vero, reale e tangibile, in una iconografia di sofferenza che sostiene la nostra percezione della vita, dei desideri e delle aspirazioni che nutrono l’Islam al femminile. Intraprese un viaggio cercando nella rete le voci delle donne islamiche, imbattendosi in quelle di seconda e terza generazione. Le ha poi ascoltate, intervistate, le ha messe a confronto con donne italiane lasciando che fossero parole, pensieri, esperienze a distillare un’altra realtà.
Ha condensato il tutto in un libro, “I love Islam”, che ci sorprende: affossa i nostri pregiudizi e ricostruisce le nostre idee dicendoci che noi – donne italiane ed europee, agnostiche, credenti o atee – abbiamo tanti punti in comune con loro, donne islamiche, osservanti o laiche. Un libro che ci spinge a considerare le diversità una ricchezza da alimentare, unica carta da giocare per la multiculturalità. “Se apri il cappotto dell’integralismo scopri un mondo parallelo che lascia sbalorditi”, spiega. Un mondo fatto di blog, relazioni, alto livello di istruzione, passioni, amori, speranze, progetti, proteste e battaglie. Nei giorni scorsi la principessa Wijdan Ali, ambasciatrice in Italia della Giordania, con una intervista rilasciata a Donne sul web, ci ha rilanciato la sfida. Ci ha spiegato che nel suo Paese non esiste un gender gap nelle retribuzioni, come avviene invece in Italia, ma che la piena parità di diritti non è stata ancora stata raggiunta. Ci ha detto che vorrebbe che fossero le donne italiane ad esprimere il loro messaggio, o le loro critiche, alle donne arabe. Per questo abbiamo chiesto a Patrizia Finucci Gallo di aiutarci a capire, a sfrondare i nostri preconcetti. Noi inorridiamo di fronte alla drammatica storia di Sakineh, condannata a morte in Iran. Inorridiscono anche le donne islamiche, con una ribellione che si manifesta anche nella difesa di una dimensione privata – pienamente inserita nella contemporaneità – che annulla tante diversità con l’Occidente. “Per una Sakineh esistono centinaia di donne islamiche emancipate che vivono pienamente la modernità”, dice Finucci Gallo. “Più gli integralisti cercano di distruggere la loro identità più loro cercano di costruirla”. Ancora l’Iran, per esempio. Il regime punisce l’emancipazione che si manifesta anche attraverso il make up, la ricercatezza, la voglia di essere belle. Ma nella vita che non scorre per le strade, quella che invece appare nelle feste private che animano le serate di Teheran, le giovani donne islamiche trasudano una modernità che è fatta anche di socialità, seduzione, abiti alla moda, femminilità esibita e difesa, aggregazione. E’ la loro protesta, il loro coraggio. Un rossetto – magari senza alcol per obbedire ai precetti – diventa un manifesto. Avrete capito: il filo sul quale corre il libro è quello della moda. Che è poi lo stesso sul quale cammina la nostra chiacchierata con la scrittrice. Frivolezze di fronte a diritti calpestati? Eppure…Sapevate che esiste una moda islamica? Che a Kuala Lumpur, in Malesia, un gruppo di modelle pakistane ha sfilato con abiti scollati per dire: questo è il Pakistan? Che se tante donne islamiche scelgono di non rinunciare al velo, per preservare la loro identità culturale, impregnano la moda islamicamente corretta di contenuti altamente trasgressivi? E’ in questo modo che anche tutto ciò che è fashion o gravita intorno ad esso diventa una forma di ribellione ed emancipazione. Nei nostri occhi si è impressa una immagine cupa di donne in nero. Probabilmente dobbiamo sostituirla con un caleidoscopio di colori. E così come non dobbiamo concentrare la nostra attenzione solo sul velo, prendendolo a simbolo della negazione dei diritti femminili, dobbiamo imparare un nuovo lessico per confrontarci con le donne islamiche e, con esse, con tutti coloro che sono portatori di altro, rispetto alla nostra cultura. L’integrazione? Frutto di un vecchio schema mentale, inappropriato per accogliere le differenze. La parola chiave è: contaminazione, che è tutta un’altra storia. Un esempio? “Se io vedo una ragazza con il velo e mi piace, magari ne compro uno uguale e me lo metto al collo”, dice Finucci Gallo. E’ anche così, semplicemente e quasi involontariamente, che noi riempiamo la contaminazione. Accogliamo ciò che è diverso da noi. Cediamo ciò che è diverso da loro. E trasformiamo.
di Natascia Ronchetti
7 dicembre 2010
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
Trovo molto importante per noi donne aprire gli occhi e guardare verso l’orizzonte del mondo islamico, per capire meglio non solo una cultura che spesso giudichiamo senza conoscere, ma anche per avvicinarsi alle donne islamiche e scoprire che poi, in fondo, non sono così diverse da noi…
Questo libro deve essere davvero bello e interessante… penso davvero che me lo regalerò per Natale…