La parità di genere, nel lavoro, è ancora solo una mera illusione. Sulla scrivania della consigliera di parità dell’Emilia Romagna, Rosa Amorevole, si ammucchiano casi di donne discriminate. E non parliamo di eccezioni. Dall’inizio dell’anno Amorevole ha trattato 38 pratiche. Da considerare solo la punta di un iceberg, ciò che affiora da un sommerso di abusi. Mobbing, molestie sessuali, vessazioni, trasferimenti illeciti, demansionamenti al rientro in ufficio dopo la maternità. I casi più gravi. E poi ci sono le organizzazioni aziendali che non tengono conto della necessità delle donne di conciliare vita privata e lavoro, genitorialità e professione.Dunque i numeri dicono che abbiamo ancora bisogno della tutela della consigliera di parità...Assolutamente sì. Basti pensare che il nostro sito conta ormai qualcosa come 40mila accessi all’anno. E stiamo parlando della sola Emilia Romagna.Qual è il compito di una consigliera di parità?
E’ un ruolo molto operativo. Le consigliere di parità sono pubblici ufficiali che devono agire secondo l’articolo 15 del codice delle pari opportunità, nel quale dal 2006 sono confluite tutte le norme che riguardano la parità di genere in ambito lavorativo. Dividiamo le discriminazioni in collettive e individuali just in time. Le prime riguardano gruppi di lavoratrici. Mi sono per esempio trovata di fronte ad un accordo aziendale che penalizzava le donne in stato di allattamento. Il mio intervento è valso un verbale di modifica dell’accordo. Le discriminazioni individuali riguardano la singola lavoratrice e richiedono una risposta immediata.
Quali sono le discriminazioni più frequenti?
Solitamente mobbing, aggressioni, vessazioni, molestie sessuali da parte di un superiore. Mi è capitato tra le mani anche un caso di discriminazione all’interno delle Forze armate.
Qual è la percentuale di successo?
Noi cerchiamo la via della conciliazione tra le parti, con la quale si ottengono risultati migliori rispetto a quelli della via giudiziaria. Nessun altro organismo può agire come noi. Abbiamo il potere di convocare l’azienda, chiedendole numeri, documentazione, spiegazioni. Se l’azienda si rifiuta abbiamo la facoltà di rivolgerci all’Ispettorato del lavoro. Le discriminazioni hanno sempre un impatto negativo sull’organizzazione del lavoro. A volte non è l’azienda ad agire in modo discriminatorio, ma un suo responsabile. In tal caso deve rimuovere il problema.
Le discriminazioni si riscontrano più nell’ente pubblico o nell’azienda privata?
C’è una prevalenza di richieste di intervento che provengono da lavoratrici del settore privato. Ma in realtà questo non mi consente di trarre conclusioni, perché ricevo anche molte segnalazioni anonime. Il che significa che in questa fase di crisi economica molte donne, seppure discriminate, temono di perdere il posto di lavoro.
Poi c’è il tema della conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro. Come mai è ancora in molti casi così difficile da applicare?
La conciliazione è un vantaggio anche per l’azienda, perché migliora le condizioni di lavoro e di conseguenza la produttività. Eppure tanti ancora non lo capiscono. Ma c’è anche un’altra forma di discriminazione, lo squilibrio nella retribuzione e negli avanzamenti di carriera. Le donne, come è ormai statisticamente provato, sono più istruite degli uomini. Ma guadagnano meno. Una conferma arriva dalla differenza di reddito dei professionisti. Si arriva anche a un 50% di differenza tra uomini e donne.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore