Età media 40 anni o più. Lunga esperienza alle spalle, creativa, determinata e con un livello di istruzione medio-alto. La carta di identità della donna che in Italia fa impresa sconfessa un bel po’ di luoghi comuni e spiega anche perché le aziende rosa riescono a combattere meglio la recessione. Ci ha pensato Cna a tracciarne il profilo con una indagine su un campione di 101 imprenditrici che rappresenta un po’ tutte le realtà aziendali e geografiche del Paese. Prima caratteristica: le donne ai vertici di un’azienda sono rodate da una lunga storia imprenditoriale, oltre il 70% svolge infatti la propria attività da oltre 10 anni, e più dell’80% ha in tasca un diploma di maturità o di laurea. La donna imprenditrice è competente, dunque, ma anche coraggiosa e creativa: nella maggioranza dei casi ha rischiato costruendo dalle fondamenta un progetto imprenditoriale ex novo. E ha valicato recinti anche culturali, entrando nei territori che tradizionalmente sono sempre stati presidiati dagli uomini, come tutte le attività imprenditoriali nei settori della logistica, dei trasporti e delle costruzioni. Oltre la metà del campione ha sfidato il mercato realizzando una nuova idea di impresa, in minoranza chi ha seguito il percorso tracciato dai genitori, dopo aver ereditato un’azienda. E sono le più giovani a osare di più. Mentre l’età media di chi guida un’azienda ereditata è di circa 60 anni, ha il volto di una quarantenne determinata e tenace la donna che decide di costituire dal nulla una nuova impresa. La bassa propensione al rischio finanziario e a seguire i tradizionali percorsi di accesso al credito bancario è confermata dal fatto che ben oltre il 70% ha realizzato la propria idea di impresa attingendo al capitale personale o all’aiuto di un famigliare. Solo un esiguo 12,1% ha chiesto e ottenuto un prestito da un istituto di credito. Una scelta, quella di far leva solo sulle forze personali, che viene fatta soprattutto dalle imprenditrici più giovani. La donna che fa impresa manifesta poi una forte creatività e flessibilità . Tutta farina del suo sacco l’idea imprenditoriale, solo in rarissimi casi si riscontra il suggerimento o il ruolo attivo di un famigliare per la nascita dell’azienda. L’intuizione resta la strada maestra, l’imprenditrice si lascia guidare dal proprio fiuto per il business, nella stragrande maggioranza dei casi non ha utilizzato o non utilizza alcun strumento di analisi del mercato. Preferisce, al contrario, investire su se stessa, con corsi di formazione sia prima che dopo l’avvio dell’attività . Duttile e flessibile non resta ingessata su un prodotto o un servizio ma li adegua alle richieste del mercato. E i cambiamenti riguardano tutti gli aspetti della produzione, dalla qualità , alla gamma dei prodotti, al contenuto tecnologico per arrivare alla specializzazione e all’originalità . Quanto al volume d’affari, appare in crescita. Da un fatturato medio nel primo anno di attività di circa 900mila euro si passa a quasi due milioni. Una crescita che testimonia la capacità della donna imprenditrice di consolidare i risultati, giocando soprattutto le carte della capitalizzazione dell’azienda e dell’aumento del portafoglio clienti. Quanto alle ripercussioni della recessione economica, l’imprenditrice sembra mantenere le posizioni, con fatturati sostanzialmente stabili nella stragrande maggioranza dei casi. Il merito? Non ha dubbi: la qualità vince su tutto, così come un management competente. Persino il clima positivo all’interno dell’azienda, unito alla buona reputazione sono un valido anticorpo per contrastare la crisi.
Concordo appieno con te cara Mariarosy. Ho una piccola impresa
nel settore tecnologia,sapessi quanta fatica mi tocca fare solo perché sono donna.
Una indagine perfetta. Quel che mi sorprende e che ancora si parla delle donne che fanno impresa come fossero delle aliene, trascurando una fetta importante dell’economia del nostro paese