Difficoltà per gli italiani all’estero, turisti britannici con minor potere di spesa, uno shock nel breve termine per i mercati e i nostri risparmi (che però poi dovrebbe progressivamente rientrare)
Il referendum sull’uscita dall’Unione Europea che si è tenuto giovedì 23 giugno nel Regno Unito ha dato un esito eclatante: successo dei fautori dell’uscita dall’U.E. con il 51,9% degli elettori. Una vittoria del “Leave” che si è consumata soprattutto in Inghilterra con invece Scozia e Irlanda del Nord schierati per il “Remain”.
Ma ora cosa cambia per l’Europa e, soprattutto, cosa può cambiare in concreto anche per noi?
L’impatto psicologico su Borse e titoli bancari già in sofferenza
Nel breve periodo l’uscita del Regno Unito significherà sicuramente sofferenze dei mercati finanziari, in particolare per quanto riguarda l’Italia sofferenza dei titoli bancari, già in grave difficoltà per i crediti tossici e per i bilanci non esattamente regolari di alcuni istituti. Da Banca Etruria a, soprattutto, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, i casi di difficoltà degli istituti bancari sono già molti, e il colpo arrivato da oltre Manica non sarà sicuramente un elemento positivo.
Aspettiamoci i primi giorni di cali considerevoli in Borsa, qualche fibrillazione dello spread, poi un lento assestamento e la possibilità di valutare anche nel medio termine la situazione con maggiore freddezza.
Dalla libera circolazione per i calciatori ai fondi europei
Nel medio periodo (diciamo dopo il prossimo biennio e relativi accordi bilaterali che saranno inevitabili per regolare i futuri rapporti U.K.-U.E.) non varranno più, potenzialmente, tutti i parametri attualmente in vigore per la libera circolazione di merci e persone. Per fare un esempio: lavorare oggi per un cittadino comunitario a Londra o Manchester è la stessa cosa che lavorare a Milano o Roma. Ogni europeo ha possibilità di circolare, soggiornare, lavorare, di ricevere assistenza medico-assicurativa ecc. in ogni stato dell’Unione.
Con Londra fuori dalla U.E. anche i cittadini europei saranno considerati in modo differente e lo stesso avverrà per gli inglesi nel resto d’Europa (a meno di specifici accordi futuri bilaterali). Questo nel calcio significa fine della legge Bosman, quindi tutti i calciatori non inglesi saranno considerati extra-comunitari. Significa stop ai fondi europei di sviluppo per le aree svantaggiate, stop ai programmi culturali, dalla capitale europea della cultura agli Erasmus, stop ai fondi di vario genere, da quelli per il cinema a quello per le industrie creative o la ricerca scientifica (il Regno Unito è attualmente il secondo percettore di fondi europei per la ricerca).
Si è calcolato che un progetto scientifico su quattro in Gran Bretagna è direttamente dipendente da fondi U.E. Ci saranno anche cambi nella vita di tutti i giorni per i consumatori: ad esempio recentemente la U.E. ha imposto armonizzazione nei costi telefonici in tutta Europa; è europea la legge per il rimborso fino a 400 euro sui voli cancellati. Gli inglesi che vivono e lavorano in Europa sono oltre 2 milioni: per essi valgono tutti gli accordi europei di libero-scambio che tutelano anche pensioni e assistenza sanitaria. Tali accordi vengono meno ovviamente in assenza di partecipazione all’U.E. (ma anche qui interverranno accordi bilaterali, vedremo in quale formula). Fino al 2020 gli agricoltori inglesi avrebbero dovuto avere 27,8 miliardi di sussidi dalla U.E., anche questi saranno a rischio. E ci fermiamo qui ma la lista è davvero molto corposa. Vediamo invece le possibili conseguenze per noi.
Gli italiani che lavorano nel Regno Unito
Cosa succederà ai nostri expat, a quel nutrito esercito di connazionali che da tempo vive nel Regno Unito, vi lavora, vi ha messo casa e radici? Parliamo di 600 mila italiani, un numero considerevole, di cui circa 450 mila che risiedono nella capitale Londra. Per chi già abita e lavora e magari ha messo famiglia nel Regno Unito cambierà probabilmente poco, ma sicuramente i “nuovi arrivati” non entreranno più in modo automatico nel Paese. Si passerà alla necessità di filtri maggiori con permessi di ingresso e di lavoro? Probabilmente sì, magari con un sistema a punti sul modello australiano o su una sorta di lotteria a quote come negli Usa. Ad ogni modo ci saranno certamente più difficoltà per i nostri connazionali che vogliono trasferirsi oltremanica. Inoltre un italiano in Inghilterra probabilmente dovrà stipulare delle assicurazioni sanitarie perché la reciprocità dell’assistenza sanitaria andrà progressivamente finendo.
Per le imprese italiane, per il nostro made in Italy, un qualche ritorno dei dazi doganali significherà costi più alti per le esportazioni; all’inverso in Italia probabilmente potrebbero costare di più alcuni prodotti made in U.K., in particolare in alcuni segmenti dove le aziende britanniche sono leader, come il settore farmaceutico (il che comporterà anche più spesa pubblica in questo settore).
Vini, eccellenze italiane, mobili: i contraccolpi per le esportazioni italiane
Il mercato inglese vale il 5,5% delle nostre esportazioni e in alcuni settori la quota raddoppia fino a passare il 10% (vino, bevande, mobili e complementi di arredo). Tutti prodotti che ora circolano liberamente e sui quali potrà pesare la spada di Damocle dei dazi doganali e della cancellazione del mercato unico.
Una sterlina indebolita (la moneta sta già perdendo notevolmente in queste ore contro dollaro ed Euro, scendendo ai minimi dal 1985 sul dollaro) significherà anche minore potere d’acquisto dei cittadini britannici all’estero. Nel 2014 in Italia sono arrivati quasi 3 milioni di inglesi i quali hanno speso circa 120 euro al giorno. Chiaramente nel caso di forti ribassi della moneta inglese questa quota, nel breve periodo, diminuirà e si contrarrà anche la spesa pro capite con conseguenze sul settore turistico tricolore.
Vedi anche: Sterlina o Dollaro dove conviene andare in vacanza