Sono commoventi le lacrime di Ashleigh Barty, numero uno del mondo e testa di serie numero uno di Wimbledon che conquista lo Slam inglese
Ashleigh Barty non ha l’atteggiamento di Serena o Venus Williams, e nemmeno la personalità spiccata di grandi stelle del passato come Steffi Graf, Chris Evert Lloyd, Martina Navratilova o Gabriela Sabatini. É minuta, educata, umile e garbata. Non fa mistero di avere combattuto per lungo tempo con una brutta depressione che per lungo tempo l’ha messa in bilico tra una carriera straordinaria e una vita protetta. Una splendida storia di sport al femminile.
Ashleigh Barty, la scelta di vincere
Ma alla fine Ashleigh Barty ha scelto di vincere. Era il 2014: di fronte a una carriera spianata il sistema nervoso di Ash fa crack… e la tennista si mette a fare altro. Gioca a cricket, viaggia, si allena poco. E si cura. Non sta bene. Il campo è una pesantissima coltre che la devasta.
Dopo alcuni mesi di buio e di terapie, cercando di restare lontano dalla luce dei riflettori e dell’attenzione dei media australiani, per i quali è un autentico mito, la tennista si è rifugiata in famiglia. La sua svolta è l’incontro con quello che diventerà il suo compagno di vita, Garry Kissick, un ottimo campione di golf. Ashleigh riprende a giocare e ammette di avere bisogno di aiuto: la affiancano grandi campioni del passato, come Pat Cash, e la leggendaria Evone Goolagong che la prende sotto la sua ala protettiva. In Australia i fan la chiamano AshStar, la cenere e le stelle. Perché lei è un po’ entrambe le cose e dalla polvere di un disagio personale molto forte è arrivata alle stelle.
Il suo allenatore è un signore austero e silenzioso, Craig Tyzzer, uno che non è su Wikipedia e nemmeno sui social e che parla con il contagocce. La affianca, la irrobustisce sotto un aspetto soprattutto emotivo e a poco a poco Ashleigh ritrova se stessa. Craig palleggiando con lei in allenamento pronuncia continuativamente una sola parola, come un mantra: “Easy…” come dire… calma.
Dodici titoli e Wimbledon
La Barty arriva al numero #1 della classifica WTA forte di tanti trofei importanti: US Open (due volte), Australian Open, Roland Garros: mancava solo Wimbledon, la montagna più alta.
Andando a rischiare molto contro una tennista non particolarmente spettacolare ma solida come la ceca Pliskova, Ashleigh Barty realizza il suo capolavoro alzando il trofeo britannico: 6-3, 6-7 (4) 6-3 il suo successo in una finale meritata ma molto sudata.
Commoventi le sue lacrime alla fine nelle quali ringrazia i suoi mentori: la leggendaria Goolagong e il suo tecnico, che non fa una piega e non versa una lacrima, limitandosi a un sorriso sotto il cappellino dicendo solo… “well done”. Ben fatto.
Il tutto mentre la sua grande avversaria, la giapponese Naomi Osaka, anche lei alle prese con il peso di una pressione forse eccessiva ha scelto di non giocare. Ritirandosi dal Roland Garros e non confermando la sua presenza al torneo olimpico di Tokyo del quale è testimonial.
Genovese, classe 1965, giornalista dal 1984. Vive a Milano da 30 anni. Ha lavorato per Radio (RTL 102.5), TV (dirigendo Eurosport per molti anni), oltre a numerosi siti web, giornali e agenzie. Vanta oltre cinquemila telecronache di eventi sportivi live, si occupa da sempre di sport e di musica, le sue grandi passioni insieme a cinema e libri. Diplomato al conservatorio, autore di narrativa per ragazzi.