Un intero continente in festa per la vittoria di Ash Barty che consente all’Australia di tornare a dominare il torneo dell’Australian Open
Sono passati oltre quarant’anni anni dalle vittorie di Evonne Goolagong, la tennista australiana che con i suoi successi a Melbourne (quattro) aprì una nuova frontiera sportiva per il suo paese. Molti anni prima delle Olimpiadi di Sydney, quando finalmente l’Australia pagò il suo tributo sociale nei confronti delle popolazioni aborigene, spesso discriminate e ghettizzate.
Se Evonne Goolagong è stata un simbolo dello sport australiano, perché fu la prima a parlare delle sue radici indigene costringendo l’Australia a fare i conti con la propria coscienza sportiva, Ash Barty riapre un discorso mai completamente chiuso.
Ash Barty, orgoglio aborigeno
La numero #1 del mondo nella classifica WTA ha giocato un torneo praticamente perfetto, concedendo pochissimo e dimostrandosi sempre saldamente padrona del proprio destino. Passando indenne attraverso ostacoli non insormontabili grazie a un tabellone che le si è spalancato davanti, Ash Barty non ha mai concesso nemmeno un set. Niente da fare nel terzo turno anche la nostra Camila Giorgi, così come per Madison Keys dominata in semifinale. Finale vinta ma non dominata.
Primo set brillantissimo: secondo set in cui ma giocatrice australiana ha dovuto zittire il cosiddetto ‘braccino’ che l’ha vista affannarsi in una lunga rimonta: dall’1-5 al 7-6 conclusivo dopo un tie-break dominato senza incertezze.
Il trofeo più inmportante
Ash Barty ha parlato spesso del suo orgoglio indigeno, del rispetto con cui è vissuta nel mito di Evonne Goolagong Cawley: e il momento della consegna del trofeo, che le è stato offerto proprio dal suo mito in persona, è stato sicuramente uno dei più emozionanti di questi ultimi mesi. Il tutto in un momento non facile per il tennis femminile, alle prese con un faticoso ricambio generazionali e senza giocatrici simbolo in grado di lasciare davvero il segno. A fare da cornice tutti i simboli della cultura sportiva e mediatica australiana: non solo Rod Laver, cui il centrale di Melbourne è intitolato, ma anche un simbolo olimpico, come Cathy Freeman (anche lei aborigena) e l’attore e premio Oscar Russel Crowe, commosso in primissima fila.
Ash Barty ha scatenato l’entusiasmo dell’Australia che è tornata a riappropriarsi di Melbourne Park mai così in festa dai tempi di Lleyton Hewitt, l’ultimo tennista di casa davvero vicino alla vittoria, sconfitto in finale da Marat Safin nel 2005.
Australia in festa
L’ultimo australiano ad alzare il trofeo del primo Slam dell’anno fu Mark Edmonson. Era il 1976, anno di una finale tutta australiana contro Newcombe. In ambito femminile Ash Barty segue Chris O’Neil, l’ultima a vincere dopo la leggendaria Goolagong, alzando il Daphne Akhurst Memorial Cup che la Barty ha sfiorato commossa a lungo dopo la premiazione. Per la tennista australiana, 25 anni, un percorso lungo e sofferto quello della sua vittoria più importante dopo Roland Garros (2019) e Wimbledon (2021).
Ash Barty dal canto suo, atleta nel DNA, ex giocatrice di cricket e discreta promessa del golf, sembra avere definitivamente accantonato le difficoltà emotive che a tratti avevano messo in dubbio le sue qualità e la sua stessa carriera. Un bel salto per la timida ragazzina di origine Ngarangu che a Springfield (Queensland) decise di giocare a tennis solo perché le sue sorelle erano più forti di lei a cricket e netball…
Il punto della vittoria di Ash Barty, il primo abbraccio è per la sua collega e migliore amica Dellacqua
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Genovese, classe 1965, giornalista dal 1984. Vive a Milano da 30 anni. Ha lavorato per Radio (RTL 102.5), TV (dirigendo Eurosport per molti anni), oltre a numerosi siti web, giornali e agenzie. Vanta oltre cinquemila telecronache di eventi sportivi live, si occupa da sempre di sport e di musica, le sue grandi passioni insieme a cinema e libri. Diplomato al conservatorio, autore di narrativa per ragazzi.