Come e perché, la finale di Euro 2020 contro l’Italia di Mancini, per gli inglesi è qualcosa di unico e poco invidiabile. Il calcio inglese ieri e oggi, vittorie e sconfitte
“It’s coming home” cantavano nel 1996 i sudditi di sua Maestà, sicuri di essere la squadra da battere nell’Europeo che ospitavano in casa.
Quel canto si è risentito tre anni fa in Russia, quando gli uomini di Southgate hanno raggiunto la semifinale, ed è rimbombato a Wembley fin dall’inizio di questo Euro 2020, che doveva essere itinerante…in teoria.
Ma per gli inglesi no, a parte il match in Italia, sono sempre stati comodamente tra le mura casalinghe ed ora, assaporano la possibilità di tornare a vincere dopo 55 anni, dopo quel mondiale casalingo del 1966 che ancora oggi sovente gli viene rinfacciato per il suo gol fantasma.
Quando e dove è nato il calcio
Il calcio è nato in Inghilterra. La data ufficiale accettata di solito è il 1848, quando furono stilate le prime regole ufficiali a Cambridge. Poi nove anni più tardi, Nathaniel Creswick fondò lo Sheffield Football Club, la prima squadra di calcio della storia.
Dal Regno Unito, quello sport nel giro di pochi decenni arrivò in ogni continente, già nel 1886 nacque la IFAB, e solo pochi anni prima un inglese, Alexander Watson Hutton, portò il calcio in Argentina, che la sorte avrebbe fatto diventare col tempo la loro rivale acerrima.
Si, per gli inglesi, quelli di ieri e quelli di oggi, il football è cosa loro, è un regalo di cui il mondo deve rendergli merito, connesso ad un’era in cui la Union Jack dominava su un quarto del globo terrestre.
Nei primi anni del 900, il campionato inglese era il più importante, persino nelle trincee della Grande Guerra, austriaci e tedeschi chiedevano notizie e aggiornamenti ai nemici di fronte.
Eppure, la loro Nazionale raggiunse i quarti di finale dei mondiali solo nel 1954. Una ferita non indifferente per l’orgoglio inglese. Poi arrivarono la vittoria casalinga del 1966, con la discussa finale contro i tedeschi. La Nazionale era quella della Golden Generation, formula che poi sarebbe stata da loro applicata via via nei decenni, ogni volta che qualche talento in più si palesava.
Si perché da quel 1966, per molto tempo non vi fu più nulla di glorioso per i colori inglesi, ma umiliazioni tra mancate qualificazioni, tonfi e la famigerata “Mano de Dios” che nel 1986 privò Lineker e compagni di una semifinale che l’Inghilterra riabbracciò quattro anni dopo, ad Italia 90. Ma niente da fare pure quella volta, lo scoramento per la sconfitta ai rigori contro i tedeschi fu grande.
Sempre negli anni 90, dopo aver scontato l’umiliazione delle tragedie sanguinose negli stadi dominati dagli hooligans, arrivò veramente una Golden Generation, una nuova generazione di giocatori di alto livello.
La Premier League si aprì al mondo, cambiò pelle, così come tutto il Regno Unito, che mise in disparte senza problemi la Lady di Ferro, abbracciò la “Terza Via” del giovanissimo e rampante Tony Blair.
“Cool Britannia” l’hanno chiamata. L’era in cui per il resto del mondo, tutto ciò che veniva dall’Inghilterra era fantastico, dalla musica, ai film, dalla moda a quel calcio, che da rito della working class, lentamente diventò prodotto e marchio di fabbrica di un paese sempre più multiculturale e moderno.
“It’s coming home” cantavano in quel 1996, e più che una rivendicazione, era una preghiera, un esorcizzare il male nel mezzo di quello slancio ottimistico, di quel PIL che saliva e quel fermento che li animava.
La Nazionale inglese non si era qualificata per i mondiali americani, sognavano una rivalsa, di poter tornare in casa a vincere trent’anni dopo Londra ‘66.
Southgate, attuale CT, sbagliò il rigore decisivo nella lotteria ai rigori contro i tedeschi, in una semifinale che parve stregata per gli inglesi, che ieri come oggi, maledissero la mala sorte, senza accettare la legge del più forte. Ancora oggi, si interrogano su come sia stato possibile non vincere nulla, con gente del calibro di Shearer, Beckham, Scholes, Owen, Ince, Campbell, McManaman, Rooney e tanti altri.
Non hanno forse mai capito (o accettato) che anche gli altri avevano delle Golden Generations, molte più forti di quella inglese, formata da giocatori molto spesso sopravvalutati per amor di Patria.
Il nuovo millennio è stato infatti via via sempre più deprimente per i Leoni, culminato con l’umiliazione contro l’Islanda agli Europei del 2016.
Gli inglesi e il calcio oggi
Coincidenze del caso, l’Inghilterra di lì a poco ha rivendicato politicamente il suo orgoglioso isolamento dal resto d’Europa, in un momento in cui paradossalmente il loro campionato era già da tempo il più bello ed importante del mondo, il più multiculturale e ricco.
Nelle ultime settimane, “It’s coming home” è rimbombato sempre più forte, quasi come una formula da Mago Merlino, con cui stregare la sorte e la fortuna, ma anche con cui sottolineare che loro, gli inglesi, sono diversi, sono speciali.
Manca davvero poco ai loro occhi perché il pallone torni a casa, basta solo superare l’Italia che ha la sua, nuova Golden Generation. Sarà a Wembley, il tempio del calcio per eccellenza di Sua Maestà. Ed è storicamente nei luoghi sacri che l’Inghilterra ha celebrato le sue più grandi vittorie, ha mostrato la corona adorna delle gemme dell’Impero e della vittoria…ma è anche dove spesso ha dovuto seppellire sogni e ambizioni.
Padovano, classe ’85, per dodici anni ho allenato in ambito pallavolistico prima di scrivere di sport e settima arte. Datemi un film di Clint Eastwood o un match di boxe e farete di me un uomo felice. @zoppello_giulio