Essere madre, lavoratrice e per di più separata, al giorno d’oggi non è semplice.
Forse è assurdo scrivere “al giorno d’oggi” giacché fino a qualche generazione fa, intendo quella di mia madre per esempio, una situazione del genere sarebbe stata del tutto improbabile, sia per il “separata” che per il “mamma-lavoratrice”, due termini, questi ultimi, che si sarebbero annullati a vicenda giacché il primo era ed è, già di per sé, un “lavoro” e anche a tempo pieno
Effettivamente, se devo fare un bilancio degli ultimi anni, da quando è nato mio figlio, mi rendo conto che le giornate sono diventate drasticamente corte, come se in 24 ore dovessi riuscire a far entrare tutto ciò che di tempo ne richiederebbe almeno il doppio.
Bisogna conciliare un’attività lavorativa, anche se part-time, la casa, i mucchi di panni da lavare e da stirare che da che mondo è mondo sono le montagne da scalare delle mamme, le bollette, la spesa e naturalmente il figlio, con tutte le sue “varie ed eventuali”: la scuola, gli amici, le malattie, i compiti, gli interminabili pomeriggi ai giardini e tutto il resto che è pane quotidiano di ogni madre che si rispetti.
Sembra impossibile ma alla fine ci sta tutto, o meglio: quasi tutto. Manca una sola cosa: noi.
In fondo veniamo da una cultura in cui l’abnegazione della donna è data per scontata. Ci si appella facilmente alle leggi biologiche: anche nella natura sono le madri a prendersi cura dei figli e del “focolare domestico”. L’asino cade quando si pensa che in natura l’unico lavoro che ci è richiesto è proprio quello di accudire la prole mentre al giorno d’oggi, pressoché ogni madre, è costretta a lavorare anche “fuori”.
La mattina, quando vado ad accompagnare a scuola mio figlio, incontro altre mamme che a quell’ora, sono le 8 e mezza di mattina, hanno già tirato su i letti, preparato colazione per tutta la famiglia, pulito casa, svuotato e ricaricato la lavastoviglie, pronte, non appena uscite da scuola, a lanciarsi nel traffico per arrivare al lavoro, quello “fuori”. Praticamente quando molti iniziano, è come se avessero già fatto un piccolo part-time. Il “sapersi organizzare” è fondamentale, una sorta di disciplina che volente o nolente ogni madre lavoratrice deve imparare ad acquisire.
Al ritorno dal lavoro infatti c’è anche la spesa, il bambino da portare al calcio, in piscina, al catechismo, a quello che è, e poi via di nuovo a casa a cucinare, a riordinare, a stirare, a mettere il piccolo a letto…
Non so quante cose ho enumerato ma penso siano sufficienti. Se i figli poi sono più di uno, gli impegni raddoppiano e alle mamme è quasi richiesto il dono dell’ubiquità o quanto meno un disintegratore di particelle che faccia scomparire e ricomparire la mamma in due luoghi diversi contemporaneamente :-).
Credo sempre di più che la mamma del futuro sia quella digitale .-))).
Tempo per noi poco…poco per pensare anche, giacché la nostra vita è in buona parte occupata dal “fare” più che dal pensare.
Mentre fai una cosa (ma spesso ben più d’una contemporaneamente), sei già con la mente al “capitolo successivo”.
E’ la classica coperta che si tira, o da una parte o dall’altra qualcuno rimane scoperto ed è abbastanza ovvio capire a chi mancherà .
Mentre racconto le storie ad Alessandro, la sera nel suo lettino, mi capita spesso di addormentarmi prima di lui. La lettura in quelle fasi avviene in una sorta di stato di trance, ripeto mille volte la stessa frase prima di accorgermi di aver perso il segno e non aver capito assolutamente nulla di quel che avevo appena letto. Diventa una specie di mantra ripetuto all’infinito (tipo: “il draghetto Nocedicocco ed il suo amico istrice Leopoldo stavano partendo per la luna”) solo che io non sono buddista e questo mantra suona un po’ atipico.
I bambini poi sono anche piuttosto esigenti e poco sfugge al loro sguardo e alle loro orecchie pronte a cogliere le eventuali ed immancabili defaillances genitoriali, così Alessandro, con voce squillante, inizia a ripetermi: “mamma, non ti addormentare! O: “ma questo lo avevi già letto!”
In quei momenti mi torna spesso in mente l’episodio degli stecchini da denti che in un cartone animato gatto Silvestro metteva negli occhi per evitare di addormentarsi. Ma è solo un ricordo e io invece capitolo poco decorosamente sul lettino.
Alessandro è mio figlio. Ha quasi sei anni e io e suo padre siamo separati da tre.
Il padre c’è saltuariamente e quindi quasi tutte le responsabilità , nell’educazione e nella gestione degli impegni di nostro figlio, spettano a me.
Da due anni lavoro in un ufficio stampa, part-time. Prima ero impiegata in una scuola di Italiano per stranieri ma con la gravidanza sono comparsi subito problemi e la mia futura maternità è sembrata, agli occhi dei responsabili della scuola, incompatibile con i miei impegni di lavoratrice (alla faccia delle pari opportunità ☺. Insomma, non potevo più garantire la completa disponibilità e quindi in termine di poco mi sono trovata “fuori dal gruppo”.
Nessuno in quella scuola aveva figli e la prospettiva di una futura madre e degli eventuali ed imprevedibili permessi parentali (come si fa a sapere quando si ammalerà un bambino?), sgomentava di sicuro chi da quella strada non era mai passato e forse aveva ben altro per la testa.
Devo ammettere che la cosa a quel tempo mi fece rimanere davvero male.
Dopo quasi 10 anni in cui avevo lavorato sodo e con passione, un tempo in cui credevo anche di aver creato dei sinceri rapporti di amicizia con il resto del gruppo (datori di lavoro compresi), mi ero ritrovata praticamente senza lavoro da un momento all’altro.
Era come se di colpo, con la gravidanza e poi con la maternità , fossi entrata a far parte di un altro mondo, di un altro gruppo, come se avessi cambiato volto in un attimo.
Nell’ufficio dove lavoro adesso invece, siamo tre “mamme” ed il Bacci, il nostro capo, un brontolone dal cuore d’oro che ha spesso la vita dura con tre donne in un ambito di soli 20 metri quadri☺.
Praticamente appena dice una parola che a una delle tre non torna, si forma in men che non si dica una sorta di coalizione di Winx mamme ☺ che sconfigge l’imprudente “nemico che ha “osato” :-)))).
E’ questa la cosa bella… Non intendo l’alzata di scudi contro il capo ma la coalizione che si è formata, quel senso di vicinanza e di comprensione che ci accomuna come donne e come mamme, in e fuori dall’ufficio.
L’affetto delle mie colleghe, la loro simpatia e soprattutto la loro umanità sono state e sono tuttora un valore aggiunto nella mia vita.
Sembra banale ma quando si è sole con un figlio spesso si incontrano difficoltà , anche di lieve entità (basta un’influenza), che possono creare molti problemi e l’aiuto sincero di altre donne che “ci sono già passate”, ci dà quella forza che a volte in noi vacilla..
Chi non è mamma, penso riesca difficilmente a capire le ansie ed i problemi (ma anche le gioie e le soddisfazioni) che un bambino può dare, dai primi passi a un sorriso, da un’influenza al fatto che non dorma.
In fondo siamo tutte donne ma fra chi è madre e chi non lo è, c’è un abisso e si sente. Non è un giudizio di merito, è un dato di fatto.
Certo è vero che per come stanno le cose al giorno d’oggi, se non hai nonni che ti aiutano, le giornate sono sempre troppo brevi per riuscire ad avere anche un minimo di spazio per te. Spesso alla sera siamo così stanche che l’unico interesse cui aneliamo è quello di tracollare sul divano.
A proposito di questo ricordo una volta, quando il padre abitava ancora in casa con noi, in cui mi distesi per un attimo sul divano e presi in mano il telecomando della TV. Era effettivamente una cosa che non capitava mai, o quasi mai. Ale era ancora piccolo, avrà avuto sì e no due anni ma di gran carriera e quasi sconvolto da quella “visione” mi intimò: “il divano e il telecomando sono del babbo☺!”
Lì mi accorsi che tutti miei accorati sforzi femministi avevano miseramente fallito☺…
Insomma, dover mettere insieme la propria vita, quella dei nostri figli, il lavoro e la casa è difficile, anche perché, come tutti, oltre che madri, mogli e lavoratrici, vorremmo anche essere, semplicemente, “qualcosa per noi stesse” e non solo “qualcosa per qualcuno”.
La mattina, prima di iniziare il tran tran quotidiano e in casa regna ancora un certo silenzio, mi siedo in giardino per dieci minuti. Prendo il caffè, fumo una sigaretta, penso. Non intendo pensare alla casa o al lavoro o agli impegni pomeridiani di Alessandro ma solo lasciarmi andare, fantasticare anche, o non pensare affatto e solo sentire. Oppure leggo un libro, poche pagine, ma senza fretta. E’ un momento unico.
Rileggo questa mail, che ho impiegato non so quanti giorni a scrivere rubacchiando il tempo al lavoro e al sonno e mi accorgo che è forse un po’ triste.
Eppure quel che provo non è tristezza, anche se ci sono momenti in cui effettivamente mi sento un po’ stanca, un po’ giù, come tutti.
La gioia che mi dà Alessandro è incomparabile con qualsiasi altra cosa nella mia vita. Il suo sorriso, i suoi bronci, le sue scoperte, le sue piccole-grandi afflizioni e le sue piccole-grandi vittorie quotidiane sono per me quanto di più bello possa esistere e sono davvero la luce che illumina il mio cammino.
Attraverso i bambini si riscoprono la semplicità , la sincerità vera, i sì e i no ed anche il perché dei sì e dei no. Nello sguardo di mio figlio io leggo ogni giorno poesia.
Ci vorrebbe solo più tempo, più tempo per tutto questo e più tempo per noi.
In un mondo che corre così veloce, a volte tanto veloce da sembrare impazzito, nel mondo del “mordi e fuggi” e dell’ “usa e getta”, c’è bisogno di tempo, di recuperare una dimensione più umana, in tutti i sensi.
I bambini non conoscono il senso del tempo. Tuttora Alessandro ha difficoltà a distinguere ieri oggi e domani e quando c’è da spiegargli quando avverrà un cosa, magari una festa o l’arrivo del babbo, è davvero difficile perché per lui l’unità di misura è solo l’oggi…o anche quando mi chiede “quanto è antico quell’oggetto?” in casa si misura con l’età della nonna che è morta a 103 anni, tipo: quel quadro lì avrà più o meno due volte la nonna, quel palazzo 5 nonne e mezzo:-)…e lui rimane sbalordito perché la nonna, poverina, gli sembrava davvero decrepita…e quando morì la disegnò in mezzo agli aeroplani, coi capelli ritti, perché era volata in cielo…
Ilaria
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