A dimostrazione che il coraggio delle donne fa sempre la differenza, anche nei periodi di crisi, pubblichiamo volentieri la lettera di una lettrice che ha detto “NO”. Non ha chinato la testa a chi pretendeva di privarla della propria professionalità -personalità in cambio di un “fantomatico” lavoro (quasi) sicuro…
No, grazie… Vado a fare altro
Caro Direttore,
– Anche se mi piacerebbe di più usare un genere femminile, senza dover sempre accantonare il problema del genere come se non contasse nulla! – le scrivo perché ho seguito il suo intervento sulla questione della riforma della scuola oltre ad essermi ulteriormente sensibilizzata al cambiamento dei tempi seguendo la vicenda della sig.ra Busi.
Sono, come -credo- molti di noi, delusa e abbattuta dalle brutture che siamo costretti a vedere e subire in quest’epoca di decadenza degli entusiasmi. Ma non sono sconfitta. E per questo vorrei raccontarle la mia vicenda.
Dopo alcuni anni di esperienza – ovviamente con una forma di contratto autonomo – in una piccola divisione di una grande azienda, il management ha deciso di sviluppare la struttura dove lavoravo facendola diventare una società del gruppo, dando il via a una fusione importante e immettendo risorse e capitali nel progetto. Non esagero a dire che il potenziale sta diventando potenza e che noi tutti, che lavoravamo all’interno, vi vedevamo insita una grossa opportunità .
Ma in questa evoluzione alcune cose sono cambiate…. Da striminzita risorsa per l’azienda siamo diventati la grande speranza. Da casa-famiglia siamo diventati tanti puntini dentro un organigramma… e purtroppo siamo stati trascinati nelle logiche delle grandi aziende di oggi, dove la strategia manageriale è tattica e dove le persone non devono mai disturbare uscendo dal loro confinamento all’essere solo numeri.
Mi spiace dire che si stava meglio quando si stava peggio, quando – anche sottostrutturati e oberati- almeno non ci dimenticavamo mai di essere anche persone perché riuscivamo ad avere relazioni, ad essere un gruppo, a tenere in alta considerazione il benessere del nostro gruppo, perché questo era parte integrante del fare bene il nostro lavoro.
Eravamo bravi perché ci rispettavamo, collaboravamo e ci sostenevamo come un’entità viva dentro l’azienda. Poi il nostro orgoglio professionale è stato soppiantato dai numeri, sono diventati così grandi e importanti che ci hanno schiacciato, inglobato e ci hanno ucciso gli entusiasmi con ferree regole matematiche e poco buon senso.
Allora, direttore, senza neppure molta convinzione (morta anche quella sotto i numeri), ho cominciato a sporgere fuori la testa cercando un salvagente. E più emergevo verso l’aria aperta e più riprendevo fiato. Più cercavo altro e più anche il mio essere altro, qualcosa di diverso dai numeri, riprendeva forza.
Ed ecco che la fatina buona ha preso la zucca e l’ha fatta diventare carrozza.
Ho trovato un altro piccolo gruppo, una piccola azienda, un team che mi ha parlato di persone e di entusiasmo e ho scoperto che la fiducia nel fatto che esista altro non va mai persa e che per fortuna il mondo non è ancora tutto uguale.
Così ho deciso, forte dei miei principi, della coerenza verso la mia persona, della fede che il lavoro può ancora gratificare fuori da economie e numeri, con la credenza che ci vuole un po’ di coraggio ma che, nonostante la crisi, si può ancora scegliere altro e sostenere uno sviluppo diverso da quello che ci hanno costretto a subire.
Ho comunicato ai miei superiori la mia decisione e ho risposto “no, grazie” a qualsiasi ulteriore allettamento economico. Mi hanno messo all’angolo, tempestato di domande, di perplessità . Non capivano come mai lasciassi quella che per loro era solo una strada in salita per una in discesa.
Io ho peccato di poco sforzo nel tentare di spiegarlo: mi perdoni, per questo, direttore, ma non è poco senso civico, o mancanza di coscienza sociale. Non avrebbero comunque capito. Non si può capire l’altro quando non si è in grado di spostarsi dai propri paradigmi, quando non si è più in grado di avere fantasia, quando i paraocchi sono troppo stretti e la vita è ridotta a un Matrix, quando non ci si sente più liberi.
Quando non si è più in grado di credere che il lavoro deve anche piacere, che deve continuare a divertirti, a gratificarti, a spingerti a reinventarti, a vivere e a renderti anche felice. Quando non si è più capaci di distinguere che ciò che è grande non è sempre bello perché ciò che è piccolo visto da fuori, può essere enorme visto da dentro.
Io sono tornata a credere che, sebbene nessuno sia insostituibile, tutti sono importanti.
Io ho scoperto che il valore e la qualità possono contare più della forza e della potenza (l‘endiadi non rimarca bene il concetto). Io continuo a credere che bisogna credere.
Io …. Vado a fare altro.
Buon Lavoro di cuore, caro Direttore
Fiduciosa di essere in buona compagnia
Evita
Ci vuole coraggio cara Evita, ma credo sia la sola soluzione possibile. Non sei la sola siamo in tante, e devo dire che una volta che impari a dire con coraggio …Io vado a fare altro la soddisfazione è talmente grande che ripaga di tutto