Anoressia e bulimia sono disturbi gravissimi, con il più alto rischio di mortalità tra le malattie mentali. L’Istituto superiore della sanità fa il punto a Roma il 24 e il 25 ottobre. Intanto cresce l’allarme sociale. Si abbassa l’età di insorgenza: oggi queste patologie si manifestano anche in bambine di 11 o 12 anni. Sotto accusa, ancora una volta, i modelli culturali.
E’ il primo pensiero quando ci si sveglia. L’ultimo prima di addormentarsi. “Il cibo è una ossessione, tutto si altera e la vita corre verso la devastazione”. Giuseppina Poletti ricorre alle parole forti, chiama le cose con il loro nome. Lei, che ha passato vent’anni della sua vita a combattere con il cibo, e che ogni notte ingurgitava mezzo chilo di pasta. Alimentazione incontrollata: la malattia che per tanto tempo l’ha accompagnata si chiama così. Fa parte dei disturbi del comportamento alimentare. Gli altri sono l’anoressia e la bulimia. DCA, è l’acronimo utilizzato dagli psichiatri.
Giuseppina è uscita dal vortice dieci anni fa. Oggi ne ha 51. E’ la presidente dell’associazione Sulle ali delle menti, che raduna tante ex pazienti, donne che hanno combattuto la battaglia contro la malattia. E che l’hanno vinta. Oggi gestiscono un centro sanitario, nel Parmense, per la riabilitazione di anoressiche e bulimiche. Adolescenti, giovani donne. “Le anoressiche le riconosci dal peso, certo, ma non solo – spiega Giuseppina -. Hanno la necessità di tenere tutto sotto controllo, l’ossessione delle calorie e della perfezione. Spesso sono studentesse modello. Le bulimiche sfuggono di più. Ma un occhio allenato le riconosce anche dai gesti”.
Se l’anoressia è il rifiuto del cibo, la ricerca spasmodica della magrezza, la bulimia è alimentazione compulsiva. In entrambi i casi si può morire. Anzi, come spiega Antonella Gigantesco, coordinatore scientifico e gestionale dell’area Salute mentale dell’Iss, l’Istituto superiore della Sanità , “il rischio di mortalità è altissimo, l’anoressia è al primo posto tra i disturbi mentaliI numeri sono in crescita: le più colpite sono le giovani donne
Proprio l’Iss ha organizzato per il 24 e il 25 ottobre, a Roma, una Consensus Conference sui DCA. L’occasione per presentare i più recenti studi epidemiologici su disturbi che colpiscono quasi unicamente la popolazione femminile, prevalentemente di età compresa tra i 14 e i 25 anni, la fascia di età a più alto rischio. Una ricerca del progetto europeo ESEMeD (che ha coinvolto oltre all’Italia, la Spagna, la Germania, la Francia, il Belgio e l’Olanda), ha esaminato la popolazione generale attraverso interviste a un campione di 4.139 persone di età uguale o superiore ai 18 anni.
In base ai risultati, l’anoressia non colpisce i maschi, colpisce invece le femmine in una percentuale che sfiora l’1%; la bulimia riguarda lo 0,12% dei maschi, lo 0,88% delle donne. Esiti, recentissimi. Con numeri in crescita. Si stima che l’8% delle ragazze di età compresa tra i 14 e i 25 anni soffra in maniera più o meno grave di disturbi del comportamento alimentare. “E minimizzare sarebbe un errore. Stiamo parlando di disturbi gravissimi – dice Gigantesco -. Non a caso l’ultimo piano sanitario del ministero della Salute li ha inseriti tra le aree di bisogno prioritario nell’età evolutiva e nell’età adulta. Il forte allarme sociale è motivato anche dal tasso di mortalità ”.“L’età si è abbassata, anoressia e bulimia colpiscono anche le bambine”Il centro gestito nel Parmense dall’associazione Sulle ali delle menti, con il contributo del Ceis e convenzionato con le Asl, è diretto dallo psichiatra Franco Giubilini. Si occupa della riabilitazione delle pazienti che, superata la fase critica generalmente costituita da un ricovero in ospedale, devono ricostruire una vita distrutta dalla malattia. “L’età di insorgenza di questi disturbi si è abbassata – spiega Giubilini -. Oggi si manifestano anche in bambine di 11 o 12 anni. Una tendenza che può essere spiegata dalla precocità di molte altre funzioni, come l’attività sessuale, anche se si tratta solo di ipotesi. E l’organismo meno maturo dispone di una sistema di difese meno strutturato”.La percentuale di guarigione completa non è molto alta. Solo il 30-40% delle pazienti riesce a lasciarsi definitivamente alle spalle la malattia. Per le altre restano strascichi più o meno pesanti o nel peggiore dei casi la morte. Archiviata l’ipotesi che la causa del disturbo debba essere cercata solo nella natura delle relazioni famigliari, oggi l’approccio è multifattoriale, tiene cioè conto di molte possibili concause. E tra queste c’è anche il modello femminile veicolato dai mezzi di comunicazione e dalla società .
I modelli culturali: sotto accusa ancora una volta è la moda
“Nell’anoressia può accadere – prosegue Giubilini -, che una semplice alterazione, come la fissazione per una moda o per una dieta, degeneri in un meccanismo complesso che porta il soggetto a perpetrare questa tendenza. Non c’è più limite al dimagrimento. E il confronto con la modella grissino diventa devastante, rinforza questo meccanismo. Negli ultimi anni ci sono stati numerosi interventi. Ma le campagne di sensibilizzazione hanno effetto solo se sono mirate e di lunga durata”.
Sul banco degli imputati ci sono anche le grandi maison, che propongono modelle magrissime. In Spagna, su pressione del ministero alla Salute, i creatori di moda hanno deciso di archiviare l’era delle indossatrici taglia 36. In Italia, invece, la buona volontà sembra fare capolino solo quando scoppia il clamore per la morte di una modella divorata dall’anoressia, come è accaduto per la francese Isabelle Caro, immortalata da Oliviero Toscani. (Nella foto una modella sfila per la collezione autunno inverno 2012 – 2013)
Gli stilisti di casa nostra non rispondono volentieri alle domande su questo argomento. Con qualche eccezione, come Lorenzo Riva. Che si affranca. “Non ho mai scelto modelle troppo magre anche se non reputo che tutte le magre siano anoressiche – dice -. Nella moda è un fenomeno maggiormente osservabile perchè amplificato dai media. Ma conosco persone anoressiche che lavorano in posta, in banca o altrove”. Per Riva il modello spagnolo è replicabile anche in Italia. “Anche se – osserva -, di taglie 36 penso ce ne siano molto poche. Nelle ultime edizioni delle sfilate milanesi ho visto per fortuna, poche ragazze anoressiche o presunte tali. Ma la colpa della scelta di modelle troppo magre è riconducibile ad alcuni direttori di giornali. E pensare che ora adorano l’estetica curvy”. Colpa delle riviste patinate?
Molte, oggi sotto accusa, hanno corretto la rotta. Ma resta il fatto che la dittatura di un modello femminile ispirato a silfidi top model non appare affatto sulla via del tramonto. Oltreoceanoqualche buon esempio c’è. Arriva per esempio da Calvin Klein, che per la sua linea di lingerie ha scelto il corpo sinuoso di Lara Stone. Con le sue curve, una vera eccezione. In Italia invece la magrezza eccessiva appare di nuovo glamour. Ne sa qualcosa Elena Mirò, la stilista che veste le cosiddette taglie forti, dalla 46 in su. Due anni fa è stata esclusa dalle sfilate milanesi. Troppo poco internazionali le sue modelle in carne, ha decretato la Camera della moda. E dire che nel nostro Paese 35 donne su cento vestono la taglia 46, in Europa addirittura 40.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore