E’ una realtà di fatto: omicidi, tragedie e ogni genere di disgrazie portano clic e quindi soldi ai siti di informazione che, consapevoli della situazione, ne approfittano in ogni modo possibile. E così capita che un omicidio diventi una gallery da cliccare e condividere.
Che la tragedia faccia notizia è la scoperta dell’acqua calda, va bene. Ma forse mai come oggi i giornali hanno approfittato tanto delle disgrazie – omicidi, stupri, incidenti – per guadagnare di più. E’ per questo motivo che negli ultimi anni abbiamo assistito a una totale gallerizzazione dei siti di informazione. Basta fare un giro sui principali quotidiani online: gallery fotografiche ovunque, non solo per notizie leggere di gossip, animali o curiosità, ma anche e soprattutto per notizie serissime, il marito che uccide la moglie, il bus che cade dalla scarpata e via dicendo.
Di solito funziona così: clicchi sul titolo, si apre una gallery fotografica, l’articolo – brevissimo – è di fatto la didascalia della prima foto, poi vai avanti e ci sono altre 10 pagine di foto, di solito completamente inutili. Non aggiungono nulla alla storia, non aiutano in nessun modo a inquadrare meglio la notizia. Hanno un solo obiettivo: farci cliccare non solo una volta ma almeno una decina. Ma anche 5 o 6 vanno bene. Così le visualizzazioni aumentano e poi ci si può vantare con gli inserzionisti pubblicitari e in poche parole guadagnare qualche euro in più.
La gallery delle volontarie rapite in Siria
A volte utilizzare le foto per raccontare un fatto ha un senso: a parte i veri reportage fotografici, è utile mostrare le immagini ad esempio nel caso di un disastro come quello della Concordia, dove le immagini valgono davvero più delle parole. Ma una gallery con 10 foto prese da Facebook delle volontarie italiane rapite in Siria (Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, probabilmente rapite dall’Isis) che senso ha? Cosa aggiunge, se non qualche clic in più al sito in questione (Corriere.it)?
A volte poi queste visualizzazioni vengono fatte con foto perfino surreali: zoomate sulla foto precedente, stesso soggetto ma da una prospettiva leggermente diversa, foto di tweet che danno la notizia appena letta, foto di poliziotti che indicano qualcosa, a volte perfino foto doppie, pur di guadagnare quel prezioso clic in più, da moltiplicare per mille una volta che la gallery sarà condivisa sui social network.
“E allora? E’ normale”
C’è chi pensa che questa situazione vada accolta con un misto di rassegnazione e cinismo, del tipo “è così che va il mondo”, come se pretendere che l’informazione abbia anche un’etica sia da ingenui. Non è così. L’informazione ha anche un ruolo morale, ed è il motivo per cui ci sono alcuni limiti che – tranne rare eccezioni – non vengono mai superati. La gallerizzazione della disgrazia ai fini di lucro è uno di quei limiti che sono stati superati senza che ce ne accorgessimo. Tutti i siti d’informazione campano con queste gallery. E la colpa è anche nostra che continiuamo a cliccare.
La gallerizzazione dei siti di informazione è un segnale preoccupante dell’ormai definitiva virata del giornalismo verso l’intrattenimento: che siano le “piscine più curiose del mondo”, le foto più buffe di gatti e cani, l’epidemia di ebola, un barcone di migranti che si rovescia o una madre che uccide il proprio figlio, non c’è più alcuna differenza, dobbiamo solo guardare le foto e cliccare. In questo modo quella che viene definita la “gerarchia delle notizie” scompare: tutto è sullo stesso piano, tutto è gallery, e non capiamo più cos’è importante e cosa non lo è. Ed è questo il vero danno da non sottovalutare: un lettore disinformato è un cittadino – e un elettore – disinformato.