Rubare foto in Internet: molti lo fanno, privati, aziende, editori stessi. Il parere di un esperto del settore: Andrea Oreni di Imaxtree.
Rubare foto sul web, senza magari nemmeno accorgersi che lo si sta facendo: probabilmente a tutti è capitato di prendere una foto dalla Rete, metterla su un proprio blog o banalmente rilanciarla e condividerla sulla sua pagina Facebook senza pensare troppo se avesse o meno un copyright.
La facilità di accesso a ogni genere di contenuto su Internet fa sì che non ci rendiamo conto che spesso un’immagine è protetta da diritti d’autore e che la monetizzazione di questi diritti è il pane con cui vivono tantissimi professionisti. Per capire un po’ meglio la materia, che a livello giuridico è anche abbastanza complessa, abbiamo intervistato Andrea Oreni, Ceo di IMAXtree.com, una delle più importanti agenzie di gestione di contenuti fotografici e video presenti in Italia.
Andrea, grazie di averci concesso questa intervista. Prima di tutto credo sia opportuno distinguere le varie tipologie di immagini e i diritti connessi.
Grazie a voi! Credo sia molto importante sensibilizzare l’utente amatoriale ma anche il professionista sul tema del diritto d’autore. Qualunque opera creativa, che sia esposta in un museo o scaricata dal web o ascoltata da un cd, è frutto del lavoro di una o, più spesso, di molte persone. Queste persone normalmente vivono grazie ai diritti connessi a questa stessa opera. Senza gli autori non avremmo musica, film, immagini, libri, opere d’arte. Per cui questo tema non riguarda solo la sopravvivenza degli autori, ma dovrebbe stare a cuore a tutti coloro che ascoltano musica, guardano film, leggono libri o visitano mostre. È un problema economico ma anche di morale e di educazione alla convivenza civile e al rispetto reciproco.
Per quanto riguarda le fotografie sono diversi i soggetti in gioco: il fotografo che crea l’immagine; il soggetto fotografato (per esempio una modella) e anche il capo o l’oggetto che può comparire nell’immagine (la giacca di un noto stilista, il mobile di design, ecc…). Questi tre elementi sono portatori di specifici diritti che vanno sempre considerati e solitamente vanno anche correttamente retribuiti se si desidera utilizzare l’immagine.
Il tema è ampio e complesso e andrebbe approfondito con uno specialista di diritto del copyright. Possiamo però segnalare sin d’ora la necessità di distinguere fra diverse modalità e scopi di utilizzo dell’immagine. A seconda della modalità di utilizzo e dello scopo per cui un’immagine viene pubblicata entrano in gioco uno o più titolari dei diritti di copyright. E anche il costo di questi diritti può variare sensibilmente a seconda dello scopo per il quale l’immagine viene utilizzata. Una macro distinzione può essere fatta tra utilizzo editoriale (su un quotidiano, o una rivista, o anche sul web) e utilizzo commerciale (un catalogo, una pubblicità).
Fra gli utilizzi editoriali quello che prevede la minor tutela degli aventi diritto è l’utilizzo ai fini di cronaca. Ad esempio l’immagine di un personaggio famoso in luogo pubblico, l’immagine di un politico durante un comizio, una foto da scenari di guerra pubblicata a fini di cronaca. In tutti questi casi l’unico avente diritto ad una remunerazione per la pubblicazione dell’immagine è il fotografo che l’ha scattata.
Gli utilizzi commerciali di un’immagine prevedono invece sempre la necessità di ottenere l’autorizzazione da parte di tutti gli aventi diritto, e di remunerarli per l’utilizzo specifico. Insomma, se pubblico sul mio blog di cronaca l’immagine di un cantante famoso fotografato in strada dovrò pagare solo i diritti di utilizzo al fotografo. Se invece pubblico la stessa immagine in un contesto pubblicitario, ad esempio ne faccio la homepage del mio shop online di abbigliamento, chiaramente dovrò pagare il diritto anche al soggetto ritratto (il cantante), oltre che al fotografo. E se il capo che il cantante indossa è riconoscibile dovrò chiedere l’autorizzazione anche allo stilista che ha disegnato e prodotto quel capo.
Immaginiamo che i costi siano molto differenti per un’immagine riservata all’editoria e una per un utilizzo commerciale, è corretto?
Certamente, anche se non sempre questa differenza è realmente giustificata e non sempre vale la stessa regola. Se solitamente per un’immagine di cronaca il prezzo può partire da poche centinaia di euro (si pensi ad un’immagine di guerra) per l’utilizzo commerciale della stessa immagine (pensiamo all’immagine inserita in una pubblicità) il prezzo dei diritti aumenta vertiginosamente arrivando anche alle centinaia di migliaia di euro. Questa è una regola generale, e vi sono naturalmente anche qui delle eccezioni. Abbiamo casi di immagini di cronaca estremamente costose (si pensi ad uno scoop su un personaggio particolarmente popolare) e casi di immagini commerciali relativamente economiche (le immagini per il catalogo di un brand minore). Il messaggio fondamentale tuttavia è che qualsiasi utilizzo dell’immagine deve essere innanzi tutto autorizzato e in secondo luogo deve sempre prevedere la remunerazione degli aventi diritto.
Possono generarsi anche contese tra i vari soggetti che hanno “diritto ai diritti”, scusate il gioco di parole. Ad esempio, com’è successo di recente, se un fotografo si ritrova una sua immagine pubblicata sull’Instagram di un personaggio famoso senza che questi gliene avesse chiesto l’autorizzazione. Non è perché un personaggio famoso viene fotografato che può prendere un’immagine che lo ritrae e utilizzarla come crede. Ricavandone magari seicentomila like su Instagram e quindi godendo di un ritorno in termini di promozione personale e indirettamente anche economico. Il rispetto dei diritti è una regola che vige sempre e comunque.
Probabilmente c’è anche un problema più profondo, le generazioni dagli anni Novanta in poi sono cresciute con l’idea che tutto in Internet sia gratis
Certamente! Se guardiamo alla musica è successa la stessa cosa: chi di noi non ha scaricato qualche brano da Napster, sapendo – o almeno sospettando – che stava facendo qualcosa di illegale? Ora con lo streaming puoi, volendo, vedere ogni film, ogni serie, anche in buona qualità, senza pagare per il servizio che stai sfruttando. Solitamente alimentando un business illegale che è semplicemente passato dalle videocassette contraffatte ai portali di streaming pirata. Le immagini sono collezionate e messe a disposizione in grandi archivi online che permettono ricerche facili, senza prevedere il minimo accorgimento per la tutela degli autori. Insomma pare facile, normale e non ci si domanda nemmeno più se sia giusto rubare. Quello che facciamo però è proprio questo: rubare! E quello che rubiamo è il frutto del lavoro di qualcuno. Non ce ne possiamo dimenticare!
Possiamo distinguere tra utilizzo privato e utilizzo professionale?
Se vogliamo essere buonisti possiamo provare a distinguere. Nel caso delle immagini (ma non certo per altre opere dell’ingegno come la musica e i video) l’utilizzo che ne fa il privato è un conto: magari si scarica una foto, la mette sul suo blog non per guadagnarci ma per abbellire un post che vedranno solo lui e i suoi amici. Certamente rimane un malcostume ma il danno economico è relativo. Molto più grave è l’utilizzo pirata delle immagini fatto dal professionista – editore o brand – che sfrutta l’immagine in termini economici, utilizza materiale protetto da diritti d’autore senza chiedere l’autorizzazione e senza pagare i titolari dei diritti.
Ma io aggiungerei un terzo soggetto fra coloro che partecipano alla diffusione di questo malcostume: tutte quelle piattaforme, legali o illegali, che, senza prevedere alcuna misura di tutela per gli autori, facilitano l’accesso ai contenuti (foto, video, musica, testi) o ne consentono il download per generare traffico. Anche questi soggetti monetizzano – sebbene indirettamente – il valore delle opere dell’ingegno che hanno messo a disposizione degli utenti senza condividerne il vantaggio con gli autori.
La giustizia interviene in questi casi? Il percorso in tribunale è semplice?
La materia dei diritti d’autore in generale è ben definita a livello internazionale ed ha senz’altro una casistica consolidata nella nostra giurisprudenza. Diverso è per quanto riguarda la disciplina di questa materia sulla Rete. In questo ambito la normativa tradizionale si confronta con dinamiche nuove e non sempre l’applicazione della norma tradizionale si rivela efficace. Il percorso in tribunale non è mai semplice, soprattutto in Italia. Per quanto ci riguarda quando siamo venuti a conoscenza del fatto che ci sono state sottratte delle immagini per scopi professionali abbiamo sempre scelto di procedere per vie legali. E abbiamo sempre vinto.
Il mio invito ai titolari di diritti d’autore è di non rassegnarsi, ma di perseguire chi utilizza abusivamente i contenuti. Solo stimolando la giurisprudenza a confrontarsi con le nuove fattispecie possiamo contribuire alla soluzione del problema.
In qualche caso sono anche gli editori che non gestiscono bene il materiale di cui magari hanno anche pagato i diritti
Certamente. In maniera senz’altro minore e spesso meno consapevole rispetto ad alcune piattaforme di ricerca o a taluni social network, ma in parte anche gli editori tradizionali si sono resi complici di questo malcostume. Senza comprendere fino in fondo che alla lunga avrebbero danneggiato anche loro stessi svalutando il valore dei loro contenuti e consentendo a soggetti minori e privi di mezzi di fare loro concorrenza sleale aiutandoli ad utilizzare, senza pagare, quei contenuti che gli editori tradizionali (solitamente) pagano. Perché non impedire sulle testate online, ad esempio, la possibilità di scaricare le immagini con un semplice drag&drop? Non sarebbe difficile. In alcuni casi si tratta di superficialità, in altri di ignoranza. A volte però sospetto che le ragioni siano diverse…
Può essere una strategia: se vado su un sito e mi trovo belle immagini, grandi, scaricabili facilmente, avrò un sito più invitante e in definitiva più click, utenti più fedeli…
Può essere. Ma così facendo l’editore si rende in qualche modo complice, magari inconsapevole, dell’illecito se poi l’immagine scaricata viene utilizzata per scopi professionali. Dal mio punto di vista tra l’editore tradizionale che si comporta in questo modo e una piattaforma online che fornisce uno strumento di ricerca immagini estremamente efficace, anche per chi desidera rubare le immagini stesse, non vedo molto differenza. Né nei mezzi né nel fine. La cosa curiosa è leggere che poi sono gli editori stessi a rivendicare nei confronti di realtà come Google che questi si approfitta indebitamente dei loro contenuti. Probabilmente è vero, ma che ne è dei diritti dei fotografi che gli editori in primis non hanno tutelato? La discussione è aperta.
Non so se la soluzione sarà quella di applicare le regole tradizionali alla Rete, o piuttosto quella di stabilire regole nuove per disciplinare queste dinamiche. Penso tuttavia che sarebbe ora di uscire da questa epoca da “Far West” sul web e di entrare in una fase più matura nell’utilizzo di questo strumento. Anche nell’interesse di chi vi opera e di chi sulle zone grigie di Internet ha costruito fino ad oggi la propria fortuna.
Qui però rischiamo di aprire un tema molto più ampio. Quello dell’assenza di regole è infatti un problema in generale relativo alla Rete. Internet è una dimensione nata in modo non tanto sregolato, quanto volutamente senza regole. E questo fa la differenza! Perché ad esempio sulle reti di telecomunicazione tradizionali sai tutto? Chi chiama, da quale cella, per quanto tempo, mentre su Internet ognuno di noi può comunicare in maniera anonima con estrema facilità? Perché i settori vitali tradizionali, ad esempio le telecomunicazioni, l’energia, le infrastrutture sono rigidamente regolamentati e sottoposti a sorveglianza e interventi costanti dell’antitrust mentre su Internet è stato possibile lo sviluppo di mostruosi monopoli globali come Google, Facebook, Cisco, solo per citarne alcuni?
Non è un caso. È stata una scelta economica, politica e strategica chiara, perseguita con tenacia e coerenza da coloro che hanno introdotto Internet nelle nostre vite. Su internet si è deciso di lasciare tutto senza regole, coscienti del fatto che in assenza di regole a prevalere sarebbe stato il più forte, a volte il più prepotente.
Tornando al nostro settore ci troviamo oggi di fronte a player potentissimi che è difficile contrastare (ma anche solo disciplinare) dato il loro peso economico (e politico). Aggiungiamo pure l’anomalia dovuta al fatto che alcuni di questi soggetti svolgono contestualmente l’attività di editore, di concessionaria pubblicitaria e, talvolta, persino di inserzionista. Insomma, se le cantano e se le suonano. Mentre tutti gli altri possono solo stare seduti a guardare.
A mio avviso queste piattaforme così come molti social network sono a tutti gli effetti editori che talvolta dicono di fornire solo servizi e di non poter controllare cosa fanno i loro utenti. Mentre in realtà sono a tutti gli effetti piattaforme anche editoriali che hanno tratto il loro successo anche sfruttando il mancato rispetto dei diritti d’autore se non addirittura, in alcuni casi, promuovendolo. E i loro utenti sono al contempo semplici utenti ma anche “contributor”, ossia soggetti che contribuiscono a creare il contenuto dell’editore. Così come lo è il giornalista per l’editore tradizionale. Senza l’utente il network non esiste! Il fatto che in un caso il “contributor” sia retribuito e nell’altro no non può essere discriminante. E tuttavia, come ho già detto, più che puntare il dito contro queste piattaforme che, fino a prova contraria e soprattutto in assenza di specifiche regole contrarie, hanno diritto di sviluppare la propria attività volta alla massimizzazione del profitto anche sfruttando zone grigie e lacune normative, credo sia indispensabile stimolare il legislatore a prendere atto di una nuova realtà e a disciplinare queste nuove fattispecie al più presto.
Quindi vedi alla base un problema legislativo?
Senz’altro. Su un punto vorrei però essere chiaro, correndo il rischio di ripetermi. Al di là della sfrontatezza di queste aziende e dei loro modelli di business che troppo spesso sfruttano un vuoto legislativo, sono dell’idea che se da un lato è compito del legislatore tutelare la comunità (facendo applicare le leggi o promulgando nuove leggi qualora quelle disponibili fossero inadeguate), contestualmente, anche in assenza di una disciplina chiara e di una conseguente attività giurisdizionale, il singolo (cittadino o azienda) non può sottrarsi ai doveri morali che stanno alla base della nostra società.
Rubare una mela nella nostra cultura è un furto, sia che questo sia stabilito chiaramente dalla legge sia che ci si trovi in un Paese privo di normativa specifica. Per le immagini vale lo stesso: utilizzare un’immagine senza esservi autorizzati è un furto; e facilitare queste attività significa rendersene complici. Ovunque questo avvenga: online e off line!
Ma il discorso sarebbe molto ampio e riguarderebbe molti altri temi legati a Internet e al grado di civiltà del genere umano. Come ha dovuto ammettere recentemente uno dei creatori di Internet, quella che poteva essere un’opportunità eccezionale per migliorare l’umanità si sta purtroppo dimostrando uno strumento utile soprattutto per evidenziarne gli aspetti peggiori.
Come vedi potresti trovare materiale per scrivere un libro più che un’intervista…