Si autodefinisce “maschilista”. Piuttosto che usare violenza contro una donna si farebbe “uccidere”. Alessandro Sallusti è dal 2010 direttore responsabile del Giornale. Giornalista di lunga data, è spesso al centro di polemiche: di certo non si preoccupa di essere politicamente corretto.
Le “peggiori nemiche delle donne sono le donne”, dice, perché il mondo del lavoro “è una battaglia: non necessariamente sleale o cruenta, ma pur sempre una battaglia” in cui le donne “si devono confrontare con gli uomini e con le altre donne. E le dinamiche relazionali femminili sono un ostacolo”.
In che modo?
Senza ipocrisia, le donne hanno sicuramente un’arma in più, a mio avviso benedetta: il fascino. Ci sono donne che, senza arrivare a un uso improprio del corpo, usano quest’arma nel rapporto con gli uomini. C’è chi si spinge un po’ più in là, chi si trattiene, chi non la usa: i differenti approcci creano competizione. E quella tra gli uomini è competitività “stronza”, quella tra le donne è “cattiva”.
Forse perché, di necessità virtù, le donne partono da condizioni di svantaggio?
Il problema è esistito storicamente, ma credo che sia superato. Nelle redazioni come negli ospedali ci sono ormai più donne che uomini. Nell’ultimo decennio le donne hanno ottenuto la parità dal punto di vista numerico, di accesso alle professioni e di trattamento economico. Poi possono esserci settori particolari, certo, ma mi rifiuto di pensare che un medico donna o una giornalista vengano pagati meno di un collega di sesso maschile.
Ancora troppo spesso però le donne devono scegliere tra famiglia e lavoro.
Su questo ho un’idea politicamente scorretta ma netta: per quanto si cerchi di spostare sempre più avanti la maternità, arriva un momento in cui la completezza di essere donna prende il sopravvento. A quel punto le donne cambiano, prima di tutto come persone. L’unica cosa che noi uomini possiamo invidiare alle donne è proprio quella di partorire: deve essere pazzesco. Già è pazzesco diventare padre! Ho visto bravissime colleghe giornaliste la cui attenzione, al rientro dalla maternità, si era naturalmente spostata sull’avere un bambino a casa che ti aspetta. Se Dio vuole, se una donna è madre privilegia questo al fatto di essere lavoratrice.
“La Boldrini non ci rompa i coglioni. O difende tutte le donne o non è lì per difendere se stessa”, ha detto attaccando l’“assenza di solidarietà” alle contestazioni ad alcune parlamentari Pdl. Cosa rappresentano le polemiche su questi temi?
Sul rompicoglioni chiedo scusa. Il contesto salottiero e quasi casereccio di quella trasmissione (In Onda su La7, ndr) mi ha portato a usare un linguaggio non appropriato. Rompicoglioni non era un’offesa ma un modo sbagliato di porre una questione.
Quale?
Cara Boldrini, quando ti insultano mobiliti polizia e carabinieri, quando insultano le tue colleghe non dici una parola. Le parlamentari insultate a Brescia sono colleghe che Laura Boldrini dovrebbe rappresentare in qualità di presidente della Camera. Se ne fa un caso personale, allora non rompa i coglioni con il caso personale. Queste cose svelano che esistono donne di centrodestra e di centrosinistra, e che questa barriera è insormontabile. Questo è molto maschile.
Cioè?
Ha ragione Roberto Vecchioni in quella canzone passata come maschilista e che secondo me è un inno alle donne, “Voglio una donna”, quando dice: “Quella che va al briefing, perché lei è del ramo, e viene via dai meeting stronza come un uomo”. Le donne, man mano che occupano legittimamente spazi che prima erano degli uomini, diventano stronze come gli uomini. Ma la donna non è stronza: la donna è madre. Oggi lo spartiacque tra le donne è se una è berlusconiana o no: questo va bene in un dibattito politico ma non in un dibattito di genere, di rispetto, di diritti.
Perché il centrodestra non è mai riuscito ad appaltarsi questa lotta culturale?
Da una parte le donne del centrodestra si sono emancipate prima. Dall’altra parte, e sembra una contraddizione, si sono affidate di più alla difesa dei loro uomini, in un concetto conservatore di famiglia e comunità.
Vale anche per il leader politico?
Sì. In un concetto conservatore è l’uomo a difendere la sua donna. O forse la subalternità è legata al fatto che nel centrodestra c’è da sempre soggezione culturale rispetto al centrosinistra, cui si lasciano alcuni temi perché non ci si ritiene all’altezza. Questo per me è un mistero.
Il giornalismo deve fare un esame di coscienza nel suo modo di raccontare la donna?
Sì, come su tanti altri temi. Il giornalismo è una cosa poco raffinata: ci vendiamo e veniamo percepiti come professionisti intellettuali. In realtà siamo artigiani: il giornalismo è un mestiere e in quanto tale non ha la raffinatezza che ci si aspetta. E poi da quando le donne hanno occupato numericamente le redazioni il problema si è molto diluito.
Restano titoli come “Morta per amore” che fanno rivoltare nella tomba le vittime di femminicidio.
Sì, ma questa non è un’accusa che si può fare al giornale in quanto tale: va fatta alla società. I giornali sono specchio della gente che li compra. Non ho mai toccato una donna neanche con un dito. Se sapessi che Berlusconi ha anche solo molestato una donna, non ci metterei la mia faccia in tv. Proprio perché sono maschilista ritengo che la forza dell’uomo sia quella di sopportare le angherie femminili e non reagire mai, arrivando piuttosto a farsi uccidere. Dico un’altra cosa politicamente scorretta: le donne, come gli uomini, non sono tutte sante. Senza generalizzare, non è del tutto sbagliato dire che in alcuni casi non siano completamente estranee a quel che accade.
Cioè se la cercano?
No. Un uomo non può molestare una donna neppure se gli si presenta davanti nuda. A volte però sono le donne a non rispettare loro stesse e il genere cui appartengono mettendosi per prime pericolo. Un altro esempio: quando finisce un amore, nove volte su dieci la colpa è dell’uomo. La goccia che fa traboccare il vaso di solito è maschile: noi uomini siamo dei fessi. Ma abbiamo un rispetto sacrale della donna e difficilmente, per giustificare la fine di un amore, mettiamo in piazza con gli amici, al lavoro, in un tribunale, quello che davvero sappiamo di nostra moglie. Spesso invece nostra moglie non ha nessun freno a raccontare tutte le porcherie del marito. Non che lei non ne abbia fatte: è che noi non abbiamo il coraggio di fare lo stesso. Perché sono le madri dei nostri figli.
I giornali sono lo specchio del paese, diceva: dimenticano però di raccontare ad esempio tutta un’imprenditoria, femminile e non solo, che tanto contribuisce al Pil.
I giornali raccontano quello che interessa al lettorato che non è rappresentativo di tutto il paese. Se faccio un titolo di prima pagina e vendo più copie insisto su quella linea. Se faccio un titolo su qualcosa di drammatico ma che non importa a nessuno non continuo. Lo dico per esperienza, non esiste giornale pluralista al suo interno. Certo, ce ne sono alcuni che lo mascherano di più: il giornale che in Italia è pluralista per antonomasia, il Corriere della Sera, non è tale sulla Fiat, sulle banche e rispetto agli interessi che rappresenta e tutela. Il pluralismo della stampa è dato dal fatto che esiste Il Fatto ed esiste Il Giornale, esistono Repubblica e il Corriere. È il mercato: in edicola ognuno può scegliere quale voce ascoltare.
Con le sole leggi di mercato non si perde però l’occasione di favorire più pluralismo culturale?
I giornalisti non sono degli educatori e il giornale non è una scuola. Ho fatto fatica a educare un figlio, non so neanche se ci sono riuscito, si figuri se mi permetto di educare i miei lettori! Non sono attrezzato ad essere un educatore né voglio esserlo. Il giornale è un’impresa commerciale. Vittorio Feltri dice sempre: il giornale bello lo facciamo domani, oggi facciamo quello che vende. Ci sono esempi di giornali “intelligenti” come Il Foglio di Giuliano Ferrara. Ma vende 7mila copie. Lo stesso discorso vale per la tv. La trasmissione di Michele Santoro sembra sia un cenacolo intellettuale ma è teatro, marketing televisivo applicato al giornalismo. Le trasmissioni intelligenti vanno in terza serata.
La carta stampata soffre il calo di vendite e la concorrenza dell’online. Come state affrontando questi cambiamenti al Giornale?
Con assoluta rassegnazione. Ho un’età per cui riuscirò forse a uscire dalla professione in modo non traumatico…
Ma se twitta anche lei!
La verità è che per ogni mio lettore che muore non c’è un lettore che entra. Mio figlio, 25 anni e un padre giornalista, non compra quotidiani ed è più informato di me. Si arriverà a uno zoccolo duro di appassionati e quello sarà ciò con cui misurarsi: dal punto di vista occupazionale non garantirà tutto il baraccone del giornalismo italiano. L’unica cosa che ci sta salvando da qualche anno nonostante la crisi è stato ridimensionare azienda e prodotto su entrate inevitabilmente minori. Da tre anni le uniche assunzioni sono per il web, non per il cartaceo. E il riciclo che a volte fanno gli editori, facendo passare giornalisti dalla carta stampata al web, non funziona. I giornalisti non hanno nessuna voglia di farlo, né lo sanno fare. In rete devi impiegare gente nata sul web, che ne conosce gli aspetti tecnici ma che è soprattutto convinta che quello sia ormai il modo di informare.
Giornalista, attivista e campaigner, ha collaborato con le più importanti testate italiane Per Donnesulweb si occupa di economia, politica, attualità e impresa donna. Vive e lavora a Roma.