Attenzione, non è una battuta. Se c’è un consiglio che Alessandra Perrazzelli si sente di dare alle donne che vogliono crescere professionalmente e non rinunciare alla famiglia è quello di scegliere con attenzione il padre dei propri figli. Per non tarparsi le ali. Per poter dire il doppio sì: al lavoro e agli affetti. Proprio quel doppio sì con il quale, alla fine, si dispiega il valore aggiunto della leadership femminile. Un affastellarsi di capacità, nel gestire famiglia e professione, che in azienda si traduce in un diverso ingegno. Con la destrezza, tutta femminile, nel saper lavorare su più piani contemporaneamente. E poi con l’attitudine ad accogliere, ad ascoltare, a tenere unito il team. “Perchè se gli uomini sanno cavalcare rapidamente e con più efficacia le opportunità – dice -, le donne esprimono maggiori abilità nel coordinamento. E allora la sfida da affrontare è quella dell’inclusione delle diversità”. Alessandra Perrazzelli è la presidente di Valore D, associazione di 45 grandi imprese per il sostegno alla leadership femminile nelle aziende. Una leadership che nel nostro Paese è al lumicino. Siamo al 4%, in coda alle classifiche internazionali: in Europa ci superano abbondantemente anche Romania e Bulgaria.
Partiamo da questo dato, dalla bassissima presenza femminile ai vertici delle aziende.
Come si spiega il ritardo storico dell’Italia?
Ci sono due elementi da tenere in considerazione. Il primo riguarda la cultura del Paese e prescinde dalle pratiche aziendali: sostanzialmente attribuisce alle donne un maggiore valore in quanto mogli e madri, determinando una segregazione sociale. Il secondo fattore è una diretta conseguenza di questo impianto culturale. Le donne hanno minori opportunità nell’accesso al mondo del lavoro e nella crescita professionale perchè manca una politica a supporto della famiglia: devono farsi carico degli impegni professionali e del lavoro di cura. In questo quadro il tema della maternità è centrale. Ma l’unica forma di sensibilità e di sostegno che viene espressa è quella del part time, che è un ostacolo alla carriera, mentre le donne hanno bisogno di diverse forme di flessibilità del lavoro. Riuscendo a tenere insieme tutto esprimono una forza straordinaria ma non riescono a raggiungere posizioni apicali. E a ciò va aggiunto il problema della cooptazione maschile nei posti di potere. Gli uomini che li occupano tendono a scegliere altri uomini, e non donne, per la successione.
Intanto è arrivato il via libera da parte della commissione Finanze del Senato al ddl che a partire dal 2015 impone quote rosa pari al 30% nei cda e negli organi di vigilanza delle società quotate e delle controllate pubbliche. Come valuta il provvedimento? Il dibattito sulle quote rosa è aperto…
Si tratta di un rimedio doloroso ma necessario. Valore D ha lasciato le imprese associate libere di esprimere, ognuna, la propria opinione. Non lo avremmo mai voluto, perchè ciò che paga davvero è la valorizzazione del merito. Tanti amministratori delegati delle aziende che sono associate a Valore D ritengono infatti che questo provvedimento vada contro l’affermazione della meritocrazia. Ma sono anche consapevoli del fatto che, nell’attuale contesto, non possiamo farne a meno. La nostra posizione è di sostegno a tutte le misure che possono portare le donne a raggiungere posizioni apicali. Ma adesso le aziende devono fare i compiti a casa: devono spingere la presenza femminile nei posti di comando. Crediamo infatti che sia necessaria una manovra a tenaglia, che parte da una formazione adeguata sullo sviluppo degli skills, vale a dire sulle competenze, e arriva all’investimento sulla mentorship. Devono lavorare sulle donne che hanno un modello di ruolo al quale le giovani si possono ispirare e sui benchmarks nell’ambito della flessibilità degli orari di lavoro. E non possiamo dimenticare che a essere in default sono gli uomini, non le donne. Il problema delle quote rosa non riguarda noi ma loro, che non sanno condividere il potere.
Quindi le quote, male necessario, non bastano…
Il tema centrale è la creazione di un sistema di organizzazione del lavoro che tenga conto del fatto che ci sono diversità. Le aziende devono creare i presupposti di un percorso naturale di crescita della leadership femminile. Le quote rosa costituiscono una misura che indubbiamente può avere un effetto di spillover sulla società, vale a dire di innovazione sociale. Ma non sono sufficienti. Ci deve essere un intero sistema che marcia nella direzione del sostegno ai percorsi di carriera femminili: occorrono misure sociali a supporto delle donne che vogliono dire il doppio sì, alla famiglia e al lavoro.
Natascia Ronchetti
21 marzo 2010
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore