Da anni, con tenacia e determinazione, si batte per i diritti delle donne. Contraria alle quote rosa, crede che solo la valorizzazione del merito possa dare nuova credibilità al Paese e renderlo più competitivo. Ed esorta le donne “a ricominciare a farsi sentire, a occuparsi di politica, a far valere il loro potere di scelta”. In questa intervista Emma Bonino, vice presidente del Senato e tra le promotrici della campagna Pari o Dispare per l’uso responsabile dell’immagine femminile in pubblicità, spiega perchè occorre spezzare il “circolo vizioso che relega l’Italia al penultimo posto in Europa, seguita solo da Malta, nella lotta alle discriminazioni di genere”.
Partiamo dal ddl che prevede il 50% di presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate e delle controllate pubbliche. Nella sua dichiarazione di voto lei ha detto: non pratico una politica in base alla quale il fine giustifica i mezzi. Perché è contraria alle quote rosa?
Il tema delle quote ha spesso caratterizzato il movimento femminile di questi anni e io mi sono perfino augurata di poterne essere persuasa, ma non mi sono convinta per ragioni di metodo e di merito. Io non condivido una politica per la quale il fine giustifichi i mezzi, anzi sono sempre più convinta che i mezzi prefigurano i fini. Non voglio quindi arrendermi a considerare positivo il mezzo delle quote, né il fine di una società organizzata per quote. Continuo invece a lavorare per una società basata sull’individuo e sul merito. So perfettamente che molte amiche con cui ho lavorato per la valorizzazione del patrimonio al femminile del nostro Paese sono convinte, con diverse sfumature, di questa misura e la considerano uno scossone transitorio per cambiare marcia. Solo che il disegno di legge – e vengo al merito – non mi pare neppure uno scossone: questo per i limiti temporali previsti, per il suo campo di applicazione ambiguo, per la debolezza del sistema sanzionatorio in caso di inadempienza, e infine per quel che riguarda il “temporaneo” che, nel sistema italiano, si traduce spesso e volentieri in “permanente”. Continuerò invece a lavorare per cambiamenti più strutturali come l’istituzione di un’autorità indipendente contro le discriminazioni di genere, contro gli stereotipi limitanti quando non umilianti, e perché i risparmi provenienti dalla equiparazione dell’età pensionabile siano utilizzati finalmente per una politica attiva che sollevi le donne italiane da quei servizi di assistenza e cura dei bambini e degli anziani che ad oggi gravano esclusivamente su di loro.
Soffermiamoci sulla valorizzazione del merito, uno dei suoi terreni di battaglia. A parole tutti la invocano. Eppure la meritocrazia in Italia non decolla. Come se lo spiega? Sarebbe bello poter dire che è inspiegabile, invece è spiegabilissimo e non riguarda solo il tema delle donne. Ormai è infatti evidente che in questo Paese vige e prevale un sistema di cooptazione che fa sì che le nomine e gli incarichi vengano assegnati secondo logiche o “familiste” o di “amici di amici”. Si preferiscono persone “fedeli o amiche” invece di persone con le migliori competenze per ricoprire il ruolo. Questo genera una perdita di competitività del Paese e ne mina la credibilità.
Lei dice: la situazione delle donne italiane è quasi patetica. Non accedono ai ruoli decisionali, a partire dalla politica. Sono penalizzate dal doppio lavoro. In 50 anni ci sono state molte conquiste eppure il traguardo della effettiva parità è ancora lontano e siamo ancora qui a parlarne. E allora che tipo di scossone serve per eliminare il gender gap? Occorre spezzare un circolo vizioso: le donne storicamente non hanno mai né premiato né penalizzato con il loro voto chi avesse operato a favore o contro i diritti delle donne. E quindi la classe politica, per giunta a larga maggioranza maschile, ha del tutto trascurato di occuparsi del problema. Abbiamo quindi una rete di servizi di cura del tutto insufficiente che, unita ad un contesto culturale molto tradizionalista che i media non fanno che amplificare, riversa sulle donne tutte le attività di cura. Il contesto culturale fa anche sì che non si mettano minimamente in discussione quegli stereotipi di genere che alimentano discriminazioni e che non sia associato alcun discredito a comportamenti sessisti, né in ambito lavorativo, né sociale, né tanto meno mediatico. Questo spiega perché l’Italia, riguardo alla questione discriminazione di genere, si ritrova penultima in Europa. Come cambiare? E’ necessario che le donne tornino a farsi sentire, che si occupino di politica e facciano valere il loro potere di scelta. Che facciano insomma capire ad una classe politica distratta che l’equiparazione delle donne non è un problema femminile, è un problema di tutto il Paese perché ne limita la crescita economica. E, a questo punto, ne danneggia anche l’immagine all’estero. I miglioramenti ci sono stati, ma troppo lenti e non estesi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
E l’autorità indipendente contro le discriminazioni di genere? Ha già qualche proposta da mettere in campo?
Con la campagna Pari o Dispare, per l’utilizzo responsabile dell’immagine femminile, stiamo ultimando una prima proposta di disegno di legge e riteniamo che una authority sia un passo importante e coerente con altre analoghe istituzioni che sono state create per correggere quelle distorsioni che il mercato da solo si rifiuta di modificare . Basta guardare gli indicatori su donne e lavoro per capire che il mercato non si è autoregolato affatto.
E nel frattempo qual è la risposta del mercato a Pari o Dispare? Si sta dimostrando sensibile? Da questo punto di vista abbiamo avuto una sorpresa molto piacevole: abbiamo lanciato l’iniziativa ai primi di gennaio e, pur non potendo contare che sulle forze di un’associazione di volontarie, abbiamo già raccolto 20 firme prestigiose e abbiamo il patrocinio della Camera della Moda di Milano. Molte aziende importanti stanno ultimando il processo di autorizzazione e molte ci contattano spontaneamente per aderire. Credo che questa iniziativa abbia messo in luce che una pubblicità così scontata, che propone un mondo che non esiste più oppure descrive le donne come cretine o come animali ornamentali, abbia stufato tutti e che si avverta il bisogno di maggiore creatività e innovazione.
Natascia Ronchetti
28 marzo 2011
Io apprezzo molto le parole della Bonino però vorrei far presente che per certi versi sembra quasi che invece di andare avanti e migliorare la nostra posizione nella società, nel mondo del lavoro, ma anche in casa e in famiglia stiamo lentamente scivolando nella regressione più totale e questo non fa bene nè a noi donne nè alla società in generele.
Quando avevo 18 anni ho votato per la prima volta e ho votato Emma Bonino per le stesse parole che adesso mi sta dicendo.
Adesso peró di anni ne ho 48.
E siamo tornati anche piú indietro, stanno cancellando i consultori e altre poche iniziative a favore delle donne.
La colpa é anche di noi donne, certo..
Ma siamo cosí stanche, cosí stanche e le nostra figlie sono state rese silenti, precarie, confuse.
Condivido molto ciò che dici cara Chiara, il problema è che lo spazio e il tempo che tu richiedi per le donne è solo un’utopia visti gli scarsi servizi forniti dalla società italiana a favore del gentil sesso! La Bonino lo sa bene e cerca di cambiare le cose, ma si rende anche conto che il processo che la attende è non solo lunghissimo ma anche pieno di insidie!!!
La Bonino è una donna intelligente e se ha detto certe cose è perchè sa, ed è certa di sapere, quindi spero davvero che il suo prgetto Pari o Dispare possa davvero essere d’aiuto alle donne!
Emma Bonino è una donna che stimo da anni, condivido le sue idee ma penso che purtroppo la sua voce sia ancora poco ascoltata. Le donne parteciperebbero in massa alle sue iniziative se solo potessero essere sgravate da alcune delle mille incombenze che ogni giorno devono affrontare da sole:figli, casa, anziani, lavoro,manca materialmente il tempo per dedicarsi attivamente ad una politica a favore di noi stesse,gli uomini di potere avrebbero del filo da torcere se solo potessimo ritagliarci un pò di spazio e tempo….
Io capisco le ragioni delle Bonino e in parte le condivido, però in una società dove non esiste meritocrazia neppure per gli uomini(e anche lei lo sottolinea), come può una donna riuscire ad affermarsi nel mondo del lavoro solo con i suoi mezzi e con in più una società che non fa altro che ostacolarla di continuo?
E’ una donna in gambissima, speriamo vinca anche quest’ultima
battaglia
Noi donne veniamo continuamente umiliate, bistrattate, derise. neppure io era molto a favore delle quote rosa, ma almeno è un passo avanti per noi!
Beh le donne si fanno ancora sentire, la manifestazione di qualche tempo fa ne è la riprova, il problema è che se nessuno ci da ascolto, soprattutto la classe politica, che anzi tenta di sopprimere ogni voce che vada anche minimamente fuori dal coro.
Mi piace la Bonino perchè è una donna che non ha mai avuto paura di parlare e ancora una volta lo ha dimostrato anche in questa intervista!