Donna carismatica, forte, di una dinamicità lampante ed evidente: Ornella Bignami, dal ‘79 anima di Elementi Moda, fa parte anche della Confederazione Europea del Lino e della Canapa, è presidente di Intercolor, lavora nella filiera tessile, si occupa di cosmetica, partecipa a conferenze, dirige comitati di tendenza, insegna nelle scuole, organizza fiere, viaggia in continuazione… La incontro al termine del workshop sui filati toscani e le tendenze autunno inverno 2010/2011 organizzato dall’ICE e ospitato dall’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo a fine ottobre.
E la prima domanda che le rivolgo è: qual è il Suo segreto?
La curiosità. Sono convita ci sia sempre un tempo per imparare, e che non bisogna mai avere la presunzione di sapere troppo. Tra la mia vita e il mio lavoro non c’è distinzione: faccio le cose che mi piacciono, e quindi fanno parte della mia vita.
Curiosa e…?
Molto generosa, mi piace trasmettere ai giovani nelle scuole le mie esperienze e quello che ho imparato nel corso degli anni. Molto determinata, sognatrice, ma anche capace di programmare nel dettaglio: tra impegni, viaggi, scadenze, meglio fare le cose con un certo ordine.
A proposito di ordine, qualche volta ci si para dietro alla parola “creatività” – spesso accostandola all’aggettivo “italiana” – per nascondere mancanza di programmazione, poca costanza e affidabilità, scarsa lungimiranza. Ma esiste questa fantomatica “creatività italiana”?
Esiste la creatività, questo sì, ma definirla “italiana” è una presunzione. Basti pensare alle case di moda, che spesso si affidano a creativi non italiani per le loro collezioni. E’ vero però che l’industria italiana, con titolari visionari che credono nella ricerca, ha sempre supportato la creatività. Caratteristica dell’Italia, per esempio nel tessile, è avere quell’antica tradizione artigianale che si traduce in competenza e sensibilità dei materiali e dei colori. La creatività da sola non basta, c’è bisogno di molta professionalità, anche perché oggi non esiste più la differenza tra compratore e venditore: ci sono partner che lavorano insieme e che collaborano.
In quest’epoca di “fast fashion”, globalizzazione ed estrema velocità ha ancora senso parlare di tendenze?
Ha senso quando parliamo di materiali di partenza, occorre infatti dare delle direttrici e indicazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti. Per esempio il lavoro che facciamo a Intercolor è immaginare quale sarà l’atmosfera cromatica delle stagioni a venire. Le tendenze per la moda sono molto più complesse da definire. Cerco di captare i filoni da seguire, anche se dipende dal brand per il quale sto lavorando, perché i segmenti sono diventati tantissimi. Creare delle tendenze valide per tutti è quasi impossibile. Si possono però intuire i cambiamenti degli stili di vita.
Qualche anticipazione?
Esiste una dicotomia profonda tra l’accelerazione continua e il bisogno di rallentare, di ritrovare i valori di una volta. Le nuove generazioni danno per scontato telefonino, i-pad, i-pod… mentre è una scoperta tutto il resto. Prenda mio figlio: chi lo avrebbe detto che avrebbe imparato a cucinare così bene?
Qual è oggi il Paese più ricettivo ai cambiamenti?
La Cina, senza dubbio, Paese nel quale sono andata per la prima volta 31 anni fa. Oggi è un Paese irriconoscibile, nel bene e nel male: è cambiato tutto, dalla determinazione a farsi conoscere agli stili di vita, dal modo di camminare e di pensare alla voglia di crescere.
A Shanghai sento un dinamismo che purtroppo in Europa non sento più.
Lusso e Cina: un rapporto iniziato negli ultimi anni, anche perché il lusso va innanzitutto spiegato.
Il lusso non è solo un prodotto costoso, ma uno che ha valore nel tempo, un prodotto che rimane bello anche dopo 15 anni. Il lusso va spiegato e molti brand lo sanno fare molto bene. In Cina c’è molta attenzione ai prodotti di lusso, soprattutto italiani e francesi. Stranamente è stato l’uomo cinese a cominciare ad apprezzare non solo l’alta moda, ma anche il prêt-à-porter di qualità. La donna sta cominciando adesso.
Immagini di avere una platea di studenti delle scuole superiori o neo-laureati in procinto di entrare nel mondo del lavoro. Quali consigli gli darebbe?
Gli stessi che ho dato ai miei figli: impegno e serietà, innanzitutto. Sono convinta che un giovane senza esperienza, ma serio e che si impegna molto, troverà sempre qualcuno disposto ad assumerlo. E poi disponibilità al sacrificio e umiltà: la scuola dà degli strumenti che poi bisogna imparare a usare.
C’è la sensazione che in Italia lo scoraggiamento stia prendendo sempre più piede, non solo tra le giovani generazioni…
Lo scoraggiamento mi fa arrabbiare. Vedo una passività certo motivata in parte dalla situazione di crisi, ma diversa rispetto al passato: una volta ci si rimboccava le maniche, oggi si aprono le braccia in segno di rinuncia. Non capisco da dove arrivi questo senso di arresa, lo trovo strano: nel carattere delle PMI italiane c’è sempre stata voglia di fare, di reagire, di andare avanti. Esistono fortunatamente dei “focolai di resistenza”, delle eccellenze che sarebbe bene evidenziare, che puntano sulla passione e sull’amore per le cose che fanno.
da Tokyo, Paolo Soldano
15 novembre 2010
Bella intervista a una donna forte, a sullo scoraggiamento si dovrebbe parlare molto di piú. Perché non ci sono gli stimoli per rimboccarsi le maniche, perché si vedono ostacoli insormontabili, e perché ci sono delle isole, focolai di resistenza?