Se c’è una persona lontana dai più comuni stereotipi sulle donne di successo questa è Maria Lucia Candida. “Sono anomala”, dice subito. E non si può fare altro che prenderla in parola. Basta osservare il suo look per capire che si fa beffa quotidianamente di molti luoghi comuni. Ti aspetti una manager stretta in un severo tailleur e ti ritrovi davanti una donna semplice e gioviale che indossa pantaloni blu e maglione in tinta, ai piedi un paio di comode scarpe da ginnastica. “Tutti pensano che bisogna imitare gli uomini sia nel look sia nello stile di gestione. Io invece dico che ognuno ha il proprio stile: i tailleur li indossavo quando ero più giovane per invecchiarmi, oggi dico che c’è un vestito per ogni occasione”. Maria Lucia Candida ha scalato i vertici in un mondo maschile come quello bancario. 51 anni, romana, è la direttrice generale dell’Istituto per il Credito sportivo. Un incarico assunto dopo aver diretto dal 2004 a tutto il 2006 la Cassa di Risparmio di Bologna, poi Neos Banca, polo di credito al consumo del gruppo Intesa-San Paolo. L’apice di una carriera iniziata nel 1983, con l’assunzione all’Imi, che poi si fuse con il San Paolo. “Ricordo che allora al mio capo dicevo scherzando: voglio diventare dirigente. E una volta raggiunto l’obiettivo, ancora scherzando gli dicevo: adesso voglio diventare direttore generale…”.
Che difficoltà ha incontrato per entrare nella stanza dei bottoni di un istituto di credito?
In realtà nessuna. Ho avuto la fortuna di avere dei capi meravigliosi, che mi hanno offerto tutte le stesse possibilità garantite ai miei colleghi uomini, alcuni dei quali anche con maggiore esperienza di me. Ho avuto tutte le opportunità di crescere e non ho mai pensato che il mio essere donna potesse costituire un limite. Le donne hanno meno tempo a disposizione. Sembra quasi una banalità, ma è vero: hanno il carico del doppio lavoro, quello professionale e quello famigliare. Il segreto è quello di riuscire a far convivere queste dimensioni della vita: o siamo brave a organizzarci oppure rischiamo di avere dei problemi. Io ho avuto anche la fortuna di avere accanto compagni di vita che mi hanno consentito di conciliare affetti e lavoro: tornavo spesso a casa solo il fine settimana ma non me lo facevano pesare.
Ha mai avuto momenti in cui ha pensato di gettare la spugna?
Tantissimi. Spesso mi sono domandata: ma chi me lo fa fare? Nel mio lavoro ci si confronta con i numeri e quando non tornano ci possono essere attimi di scoraggiamento. Ricordo a Bologna, quando ero direttrice generale di Carisbo, le tante serate trascorse con i miei più stretti collaboratori. Davanti a un piatto di tortellini “spacchettavamo” dati cercando di capire cosa inventarci il giorno dopo per far quadrare tutto. Ho sempre però affrontato queste fasi con un atteggiamento positivo: altrimenti mi sarei fermata.
Come è avvenuto il passaggio all’Istituto per il Credito Sportivo?
Ero lontana da Roma, la mia città, da otto anni. A un certo punto mi hanno chiamato dei cacciatori di teste e mi sono detta: perchè no? Sentivo anche la necessità di misurarmi con qualcosa di nuovo, nonostante sia stata una scelta caratterizzata da sentimenti contrastanti: non è stato facile lasciare il vecchio datore di lavoro. Oggi il mio obiettivo è quello di far diventare Credito Sportivo una banca a 360 gradi.
Se la sentirebbe di dare un consiglio ad altre donne che desiderano affermarsi professionalmente?
Credo sia necessario pensare che non bisogna porsi dei limiti, che se si vuole fermamente qualcosa la si ottiene. Ma credo anche che questa ambizione vada vissuta, giorno dopo giorno, nella quotidianità, in modo semplice e tranquillo. L’importante è credere davvero in ciò che si fa, amare il proprio lavoro: se non viene vissuto come una costrizione, ma come qualcosa che ci piace molto, allora è molto più facile superare anche i momenti di difficoltà.
Natascia Ronchetti
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore