Una ripresa economica lenta e disuguale in un Paese che non investe a sufficienza sulla conoscenza. Per Anna Maria Artoni, presidente di Confindustria Emilia-Romagna e membro della Giunta e del Consiglio direttivo dell’associazione degli industriali, il gap che separa l’Italia da Paesi come la Germania, uscita velocemente dalla crisi, può essere eliminato solo con una forte politica di sostegno agli investimenti materiali e immateriali, promuovendo anche la promozione di una presenza femminile qualificata in ogni ambito professionale. Solo così, dice, “potremo sbloccare questo Paese: valorizzando la qualità delle persone, indipendentemente dal sesso o dall’età. Solo investendo sul merito potremo offrire un futuro alle nuove generazioni”.
Stiamo assistendo ai primi segnali di ripresa, soprattutto grazie al risveglio della domanda proveniente da oltreconfine. Lei ritiene che ci siano le condizioni per intravedere un recupero stabile e duraturo?
L’economia ha visto una leggera crescita, ma la ripresa è lenta, diseguale, e soprattutto insufficiente a determinare circoli virtuosi, investimenti diffusi e occupazione. Anche quest’anno è stata decisiva la capacità di esportazione e di presenza sui mercati, sia tradizionali sia emergenti. Stiamo vedendo qualche segnale positivo anche sul versante degli investimenti industriali, e questo ci fa ben sperare. Ma le nubi sono ancora molte, e rendono difficile prevedere una vera e propria ripartenza del ciclo economico: basta pensare al costo delle materie prime e alla crisi del Nord Africa, che seguiamo con molta preoccupazione. Occorre da un lato dare risposte, a livello europeo, al problema dei flussi migratori da quelle aree, dall’altro ripristinare l’attività delle imprese locali e quindi le relazioni commerciali e produttive.
Intanto Paesi come la Germania, in prima fila, ma anche come la Francia e la Gran Bretagna hanno imboccato più rapidamente la strada della ripresa. Cosa è mancato e cosa manca all’Italia per procedere più velocemente?
Il nostro è un Paese bloccato, che non investe. La sfida è rendere più competitivo il sistema Italia nel suo insieme – Istituzioni, territorio, imprese – valorizzando le nostre eccellenze e le opportunità in tutti i campi. Una prospettiva che può essere reale solo puntando sulla conoscenza. Dobbiamo diventare più attrattivi per i talenti, per la classe creativa, per gli investimenti. In un momento come questo è fondamentale il ruolo della domanda pubblica: serve un programma serio di investimenti, a partire dalle infrastrutture materiali e immateriali, per dare tono alla domanda nel breve e, nel lungo periodo, sviluppare la competitività. Poi c’e’ la questione del fisco, troppo sbilanciato su imprese e lavoro. Un grande rischio che dobbiamo evitare è il “deficit di futuro”. Dobbiamo fare un grande atto di assunzione di responsabilità collettiva per migliorare il futuro del sistema Italia.
Lei è al secondo mandato come presidente degli industriali emiliano-romagnoli, rieletta per acclamazione. Il fatto di essere donna l’ha mai ostacolata? L’Italia è un Paese con una bassissima percentuale di presenza femminile ai vertici del potere politico ed economico…
Non ho trovato ostacoli particolari, è stata ed è una straordinaria occasione di crescita personale e professionale. Ho cercato di gestire il mio ruolo in azienda e in Confindustria con impegno e responsabilità costante. Le donne al vertice sono sempre di più, per fortuna. Ma c’è ancora molta strada da fare. Circa il tema delle quota rosa, la situazione italiana è profondamente differente da quella ad esempio della Norvegia, dove l’introduzione di quote nei cda rappresenta un acceleratore di un processo già in atto. Lì si è investito moltissimo sul welfare, sulla partecipazione femminile, sulla creazione di possibilità per le donne di occupare posti importanti: un presupposto che purtroppo da noi non esiste. In Italia dobbiamo continuare a promuovere a tutti i livelli una presenza femminile qualificata in ogni ambito professionale, e contemporaneamente investire di più nei servizi a supporto delle famiglie e sulla formazione. Solo così potremo “sbloccare” questo Paese: valorizzando la qualità delle persone, indipendentemente dal sesso o dall’età. Solo investendo sul merito potremo assicurare il futuro alle giovani generazioni, alle imprese e al Paese.
Che cosa ha comportato guidare gli industriali in una fase difficile come quella della crisi mondiale esplosa nel 2008?
È stata una bella sfida, perché abbiamo attraversato una crisi profonda che ha messo alla prova la tenuta della nostra economia. L’Emilia-Romagna, fortemente manifatturiera, ha sofferto molto e più di altri territori perché le nostre imprese, che in questi anni avevano tanto investito in nuovi prodotti, nuovi mercati e presenza internazionale, si sono trovate pesantemente esposte al drastico calo della domanda mondiale. Ne hanno risentito tutte le dimensioni e tutti i settori, nessuno escluso, ma la filiera produttiva delle piccole imprese è quella che ha sofferto di più. Credo però che la risposta delle aziende e delle Istituzioni sia andata nella direzione giusta. Le imprese hanno tenuto i nervi saldi e, con responsabilità, hanno continuato il più possibile a guardare avanti e cercato di contenere al massimo gli effetti della crisi sul piano dell’occupazione, anche grazie al programma di interventi della Regione, pur nella scarsità di risorse pubbliche, con il pieno sostegno del mondo industriale.
Ha da poco contribuito a fondare, insieme a professionisti, manager, imprenditori e giornalisti, il quotidiano online Linkiesta, che si è collocato sul mercato dei new media come voce libera. Da dove è partita l’idea? Avvertiva la necessità di colmare un vuoto nell’informazione?
L’idea è partita da alcuni amici, che si sono resi conto che in Italia non c’erano ancora esperienze di giornali solo online. Pensiamo ad un giornale non generalista, ma dedicato a forme di approfondimento in diversi campi, dall’economia al sociale e alla cultura. Il giornale vuole incontrare non solo virtualmente realtà importanti del nostro Paese che hanno molto da dire ma non escono mai sui giornali o in tv. Vuole confrontarsi ogni giorno con punti di vista diversi e magari anche lontani da quelli de Linkiesta.
Natascia Ronchetti
14 marzo 2011
Io invece trovo giusto anche solo parlarne, perchè da qualche parte si dovrà pur iniziare e poi col tempo spesso le parole, soprattutto se diventano cori a più voci possono diventare cose concrete e reali!
Io trovo le idee di questa donne davvero buone, e trovo lodevole che lei si batta tanto per la sua regione e anche per dare voce a realtà sconosciute e invisibili agli occhi dell?italia, ma non so se poi alla fine le sue parole sono concrete e questo proprio perchè come dice la Sig. Artoni, l’Italia è un paese bloccato e non sarà facile riportarlo ad una situazione di normalità!
Per fortuna ci sono esempi di grandi donne cone L’Artoni che ci permettono di capire che le donne possono farcela anche se sono discriminate continuamente, soprattutto in Italia!
Bell’intervista, soprattutto mi sono piaciute le affermazioni dell’Artoni quando parla di evitare un “deficit di futuro” e dice di valorizzare la qualità delle persone indipendentemente dall’età o dal sesso! Magari ci riuscissimo davvero! L’Italia sarebbe veramente un posto diverso