Ottant’anni suonati e davvero non li dimostra. Nulla di cui stupirsi in fondo. Lui dice di aver stipulato un patto con la vita: le ha chiesto di rimanere giovane ed è stato accontentato. Chi non conosce Gualtiero Marchesi? Il re degli chef. Quanti lustri sono passati da quando a Milano, sua città, invaghito di libri, musica, disegno, faceva scorribande nella cucina del ristorante albergo dei suoi genitori. La passione per arte, note, letture non l’ha mai abbandonato. Nemmeno quella per la cucina, che poi ha coltivato. Più che un colpo di fulmine una scelta. Rettore di Alma, la scuola di alta cucina di Colorno, in provincia di Parma, ai suoi allievi dice che il cuoco è come un direttore d’orchestra che tutto deve tenere insieme. Carisma, convinzione. E capacità di insegnare: anche a mangiarsi la vita, a viverla intensamente.
Marchesi, lei nella sua biografia scrive: la mia è stata una vocazione, ma cercata e messa sempre in discussione. Quindi, ci sono stati anche smarrimenti?
No, una volta che capii che la mia strada non era quella dell’arte in senso stretto, ma un ritorno alla cucina. Per tre anni presi lezioni con la mia futura moglie, con una concertista.
Uno studio che mi aprì la strada ad una migliore, più ampia, comprensione del mio mestiere.
Lei è lo chef italiano più famoso nel mondo. Ma dice di sentirsi sempre un allievo. Lo sa che rischia di passare anche per falso modesto?
Non mi interessa. I veri maestri hanno sempre qualcosa da imparare dal mondo.
Qual è la prima cosa che dice ai suoi allievi?
La cucina è un lavoro che richiede, come qualsiasi altra cosa ben fatta, passione e intelligenza. La mia esortazione è di aprire gli occhi, di vivere intensamente la vita, di prendere da ogni situazione che ti si presenti innanzi.
E c’è qualcosa che proprio non vuole sentir dire?
Sono creativo» quando si hanno ancora vent’anni, venticinque. Per cominciare ad esserlo veramente, mancano ancora l’esperienza, la conoscenza, la cultura, gli incontri.
Cosa non è tollerabile in uno chef?
La creatività fasulla e l’arroganza. Un cuoco, come preferisco dire, è come un direttore d’orchestra che deve avere carisma, capacità cioè di insegnare e di farsi seguire con convinzione.
Cosa non deve mai mancare in cucina?
Il cuoco.
Un consiglio per chi ha poco tempo ma non vuole sfigurare. Cosa suggerisce?
Fare bene la spesa, da lì dipende tutto.
Lei ha avuto dei maestri, qualcuno a cui deve fare un tributo?
Si, Jean Troigros. Grazie a lui ho capito che l’obiettivo finale è la semplicità. Ma anche Domenico Bergamaschi, cuoco nel ristorante albergo Al Mercato dei miei genitori.
L’Italia vanta una ricchissima cultura culinaria. Ma c’è qualche regione che eccelle? Non abbia paura di inimicarsi qualcuno…
Tutte le regioni hanno una fortissima identità culinaria, una ricchezza meravigliosa che dipende dal microclima. Diceva Paul Bocuse, qualche anno fa:« L’egemonia culinaria francese durerà sino al momento in cui i cuochi italiani si renderanno conto dell’enorme patrimonio che hanno a disposizione, sia dal punto di vista delle materie prime sia dal punto di vista delle tradizioni».
Un cuoco appassionato d’arte. Qual è il legame?
Perché ogni mio piatto è preceduto da un’idea e segue, quindi, una precisa composizione. In questo, senso, la frequentazione con le arti aiuta a vedere con occhi nuov
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
Un maestro, é vero.
E mi piace questo suo ribadire e limitare il concetto di creativitá spesso legato all’arroganza…é un atteggiamento diffuso che fa disastri (e non solo in cucina), mentre il rivendicare l’attenzione, la sensibilitá al bello e all’arte, il riscoprire la difficoltá delle semplicitá, fa di un cuoco un direttore di orchestra, attento alla sinfonia di sapori e atmosfere che fanno di una cena un momento indimenticabile
E’ veramente un grande!!!!
Un maestro di classe e di modestia, una spanna sopra tutti gli altri cuochi. Gualtiero Marchesi è da sempre il punto di riferimento per chi lavora in questo campo….