Opera come una qualsiasi altra banca. Raccoglie e gestisce il risparmio, eroga credito alle imprese. Solo che, per dirla con le parole di Ugo Biggeri, “finanzia solo chi lavora per il bene comune”. Chi crede insomma che l’economia da sostenere sia quella sostenibile e socialmente responsabile. Ugo Biggeri è il presidente di Banca Etica, nata a Padova dieci anni fa: un capitale sociale di 31 milioni di euro, una raccolta di oltre 656 e finanziamenti per più di 641. Una banca come tutte le altre se non fosse che concede credito solo a chi promuove la tutela dell’ambiente, la difesa dei diritti umani, a chi contrasta le discriminazioni di genere. Una banca che colloca sul mercato fondi comuni di investimento capaci di garantire rendimenti migliori dei fondi tradizionali. E che crede che il consumo critico e consapevole possa davvero cambiare il mercato.
Qual è la principale differenza tra un istituto di credito tradizionale e Banca Etica?
Siamo l’unica banca italiana che ispira tutta la sua attività ai principi della finanza etica. Per statuto concediamo credito esclusivamente a quelle realtà che operano mettendo il bene comune al centro delle loro azioni. Parliamo di cooperative sociali, associazioni di volontariato, ong, imprese sociali attente all’ambiente e ai diritti della persona. E questo è ben più che limitarsi a non investire in armi. Operare secondo i principi della finanza etica significa anche prestare particolare attenzione alla trasparenza. Siamo gli unici che pubblicano l’elenco integrale delle realtà finanziate: in questo modo i risparmiatori che ci affidano il loro denaro sanno sempre come viene utilizzato.
E’ possibile tracciare un identikit del risparmiatore che si rivolge a voi?
Oggi abbiamo 33 mila soci sul territorio italiano, prevalentemente persone fisiche. Chi ci affida i risparmi solitamente è un consumatore attento e responsabile. Una persona che non si limita a guardare il tasso di interesse ma che pretende che il proprio denaro non sia impiegato in attività nocive per l’ambiente o per le persone ma anzi che serva a fare da volano a quell’economia sociale e solidale che sempre più sta crescendo nel nostro Paese. E’ una persona convinta che la giusta remunerazione del risparmio e dell’investimento non possa mai essere perseguita ai danni della collettività.
Molte banche tradizionali da alcuni anni promuovono fondi di investimento etici. E’ il segnale di un aumento della sensibilità verso questi strumenti finanziari?
Abbiamo contribuito a costituire una società di gestione del risparmio, Etica sgr, unica in Italia: promuove solo fondi comuni di investimento etici. Questo significa che nei nostri fondi possono entrare solo i titoli di aziende e Stati che abbiano superano un’attenta selezione in termini di performances nel campo della responsabilità sociale, della trasparenza. Ci impegniamo a promuovere con il risparmio dei nostri clienti solo quelle aziende e quei Paesi che si impegnano in un costante miglioramento delle loro politiche di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, che promuovono la parità di genere. Ora i fondi etici hanno dimostrato di essere anche capace di generare rendimenti interessanti: un’impresa attenta ai propri comportamenti socio-ambientali non solo fa bene al pianeta, ma alla lunga garantisce migliori risultati anche sul piano economico. Tutto ciò ha spinto diverse società a lanciare linee di investimento etiche. E questo è un bene. L’effetto contagio era uno degli obiettivi che ci eravamo dati.
La crescita nel mondo del consumo critico e consapevole ha modificato o sta modificando la politica di potenti multinazionali. Il consumo critico e l’investimento etico possono davvero cambiare il mercato?
Noi siamo convinti di si. La corrente teorica cui facciamo riferimento è quella del cosìddetto “voto con il portafoglio”: se masse sempre più numerose di cittadini sceglieranno in modo consapevole e responsabile i prodotti finanziari il mercato non potrà che adeguarsi premiando le aziende virtuose e penalizzando quelle irresponsabili.
La finanza etica in Italia non si è ancora però sviluppata al ritmo di altri Paesi europei. Come si spiega?
La differenza è dovuta principalmente alla latitanza degli investitori istituzionali italiani. Nei Paesi del Nord Europa, dove la finanza etica sta conquistando percentuali di mercato sempre più rilevanti, i primi a investire eticamente sono gli investitori istituzionali. L’esempio classico è quello dei fondi pensione: sebbene la legge imponga in Italia che una quota dei fondi sia investita in modo responsabile, ancora sono in pochi a farlo. Eppure tutti dovrebbero chiedersi se non c’è qualcosa di sbagliato a investire anche in aziende che non rispettano i diritti dei lavoratori.
Natascia Ronchetti
7 febbraio 2011
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
Io invece sapevo dell’esistenza di una banca etica, ma effettivamente non mi sono mai chiesta a cosa servisse o di cosa si occupasse! Invece l’intervista di Biggeri mi ha aperto gli occhi su molte cose…
Io neppure sapevo dell’esistenza di una banca etica… grazie per l’articolo! Da oggi in poi sicuramenmte starò molto più attenta ai miei investimenti finanziari!
Si effettivamente Biggeri ha perfettamente ragione, anche se io credo che in Italia non c’è una finanza etica, perchè non c’è neppure la mentalità giusto per attuarla!