Non ditegli che sta fondando un impero,vi guarderà storto.
Oscar Farinetti è fatto così. “Stiamo solo cercando di portare in Italia, e nel mondo, un modo innovativo di proporre il cibo”, dice. E dire che è fresco reduce da un successo clamoroso in terra americana: una media di 30mila visitatori al giorno nel nuovo Eataly di New York – 7mila metri quadrati sulla Fifth Avenue – fin dai primi giorni successivi all’inaugurazione, avvenuta il 31 agosto, con tanto di taglio del nastro del sindaco Bloomberg.
Un tappa della lunga marcia iniziata nel 2007, a Torino, con l’apertura del primo Eataly, mercato enogastronomico dove il cibo e i vini – di qualità – non sono semplicemente serviti. Sono raccontati. 56 anni, piemontese, dice che in fondo la sua vita era segnata. “Con la mamma di Barolo e il papà di Barbaresco, due capitali del vino italiano, che altro potevo fare?”. E’ accompagnato da tre cooperative della grande distribuzione, che detengono il 40% del capitale sociale. E oggi Eataly, oltre che in Italia e negli Usa, è presente in Giappone.
Ci racconti come è nata l’idea di Eataly...
Io volevo occuparmi del cibo, che è il prodotto più importante per l’umanità. Lo mettiamo nel nostro corpo ma è poco conosciuto. Sa che solo il 35% delle persone sa qual è la differenza tra grano tenero e grano duro?
Così poche?
Poche, esatto. La gente sa tutto di un telefono cellulare ma ignora, tanto per fare un esempio, che in Europa ci sono 23 tipi di mele diverse. E nessuno che spieghi da dove vengono, che storia hanno, come vengono coltivate. Inoltre avevo analizzato il mercato dei prodotti di alta qualità: era confinato in nicchie. Così mi sono chiesto: e se provassi a proporli su vasta scala, cercando di offrirli anche a costi sostenibili? Le idee semplici vengono comprese. Oggi a Eataly vengono persone che non solo vogliono mangiare. Vogliono capire.
Capire?
Sì, il rapporto con il cibo è stato deviato. Eataly presenta i prodotti sotto tutti i loro aspetti: le caratteristiche, la filiera, le origini. Li descrive integrando la didattica alla ristorazione. La nostra filosofia è: cuciniamo ciò che vendiamo e vendiamo ciò che cuciniamo. Una formula che piace. E poi l’agroalimentare italiano è apprezzato in tutto il mondo. Compriamo direttamente dai produttori. E il nostro approccio al business è antitetico a quello tradizionale.
Un altro aspetto che vi caratterizza?
Abbiamo deciso di non andare nei “non luoghi”. Come location preferiamo sempre costruzioni che abbiano anche un respiro storico. Per questo scegliamo edifici che siano o immediatamente a ridosso delle aree urbane o nei centri storici.
Tre Eataly a Tokyo, uno a New York, cinque in Italia. E adesso?
A Tokyo ne apriremo un quarto. E in Italia arriveremo a dieci. Il prossimo sarà a Genova, nella primavera del 2011. Poi seguirà Roma: sarà il più grande, con una superficie di 14mila metri quadrati, prevediamo di aprirlo tra giugno e settembre del prossimo anno. Andremo a Bari. E ancora a Milano, dove ne abbiamo messo in cantiere un secondo.
E da dove è nata l’alleanza con le coop?
Una premessa: ogni dieci anni io cerco di cambiare mestiere. Credo che ciascuno di noi possa dare il massimo in quest’arco di tempo. Io, dopo aver lavorato in un altro settore, avevo deciso di tornare al cibo. Ma dovevo vendere roba che scade. Mi sono detto: è meglio se trovo un partner che il mestiere lo conosce. E poi con le coop c’erano molti punti di contatto. A partire dalla condivisione del valore dell’educazione alimentare.
Natascia Ronchetti
20 settembre 2010