Pittura e moda per lei corrono sullo stesso filo. La passione per tele, colori e pennelli non l’ha mai abbandonata. L’ha trasfusa, semmai, continuando a coltivarla, nella creazione di abiti da sposa che sembrano opere d’arte. Nelle sue collezioni il rosso e il nero fanno incursioni nella sacralità del bianco.
Pizzi, fiori, drappeggi si accompagnano al rigore del taglio. Ispirazioni quasi ottocentesche a proiezioni nei secoli venturi. Alla fine ogni abito è unico quando è indossato dalla donna che l’ha scelto. Lucia Zanotti è consigliere delegato e direttrice artistica di Atelier Aimèe, l’azienda di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, che dal 1961 produce abiti da sposa. Con tre brand (Emè di Emè, Pret a Porter, Atelier Aimèe Montenapoleone) è portabandiera di un made in Italy che ha fatto il giro del mondo. E’ volata a Hollywood per vestire le star, in collaborazione con Gucci. A Washington per firmare l’abito di Maeve, nipote di Bob, della stirpe dei Kennedy. Su ogni donna che incontra Lucia Zanotti riesce a scolpire l’abito perfetto. “Dobbiamo essere pronti – dice – a comprenderne le esigenze, i gusti, i desideri. E a realizzarli al meglio, affinchè quel giorno si concretizzi davvero come lo ha sempre immaginato”. Nulla di cui stupirsi: il fatto è che Lucia ha scelto di parlare la lingua delle donne. Come la sua azienda, del resto, che guida insieme al marito Matthias Kissing. Per dire: qui ci sono 147 dipendenti, di cui 140 donne. E una organizzazione del lavoro che mette al primo posto il benessere delle dipendenti. Perchè per rendere felici le spose con abiti bellissimi, dice, “sono necessarie sarte felici”.
Che cosa la guida quando crea un abito da sposa? Come prende corpo l’idea, prima ancora di passare a forbici e tessuti?
L’ispirazione può nascere da un quadro, piuttosto che da un film o da una rappresentazione teatrale, anche se la maggiore fonte di idee per me sono i fiori: sia le loro forme che i loro colori e sfumature. Da qui nasce, di solito, il tema della collezione, che poi viene sviluppato cercando tessuti che interpretino al meglio la mia idea di abito. Per me creare abiti è come dipingere: sono quadri e li considero finiti solo quando riescono ad emozionarmi…
Ci spiega le varie fasi di produzione e qual è in assoluto la più importante?
La parte più “faticosa”, ma allo stesso tempo più stimolante, è certamente quella della creazione. Una volta che è stato disegnato, che si è creato il modello ed è stato finito e drappeggiato, provato su modella ed approvato, siamo pronti per la sfilata. Poi comincia la fase di produzione che comprende il taglio, l’incorporo con le prime cuciture, le finiture a mano, lo stiro, il controllo e infine la spedizione. Ma tutto comincia con l’idea e con il lavoro in team tra l’ufficio stile, le modelliste e la sartoria. Insieme si decide come migliorare. E l’idea, solo grazie alla collaborazione con questi reparti, diventa abito.
Quanto contano i dettagli? E cosa non deve mai mancare nell’abito affinchè sia perfetto?
Ogni sposa ha il suo abito e per ciascuna i dettagli che lo rendono perfetto sono diversi. Ci sono spose che vogliono esser principesse e che quindi si innamorano dei pizzi e dei ricami preziosi. Altre che vogliono essere minimali e rigorose e che quindi cercheranno qualcosa di completamente diverso: ameranno la preziosità dei tessuti, l’attenzione al particolare, le finiture sartoriali. Per questo motivo abbiamo creato tre linee di prodotto che vengono incontro ai gusti diversi delle singole spose.
Nelle vostre collezioni avete dato spazio anche al rosso e al nero. Vi siete ispirati a qualche donna in particolare?
Nella collezione Emé di Emé, dedicata alla sposa romantica e sbarazzina, amante del volume, del colore e dei tessuti particolari, hanno avuto ampio spazio il rosso – che per noi è sempre stato il colore dell’amore per eccellenza e che quindi amiamo molto – e il nero, colore dell’eleganza. Per questa collezione ci siamo ispirate ad una principessa dei giorni nostri, amante del volume e del ricamo ma alla ricerca di qualcosa di nuovo, ricercato, mai visto prima.
La sua azienda ha 147 dipendenti, quasi tutte donne. E siete tra le poche imprese che hanno scelto di applicare un modello organizzativo che consente di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro…
Abbiamo voluto testimoniare che anche in Italia è possibile adottare modelli di welfare sia nell’organizzazione del lavoro che nell’innovazione dei servizi a supporto della famiglia. Il benessere della persona è un contributo importante per favorire lo sviluppo dell’azienda, coniugando in modo virtuoso ed armonioso produttività e benessere, macchina e persona, lavoratrice e madre. La serenità delle sarte richiede la necessità di occuparsi anche delle loro difficoltà a gestire gli impegni della maternità. Abbiamo scelto di difendere il made in Italy e la produzione interna, senza delocalizzare, investendo sul capitale umano. La legge 53/2000 ci ha permesso di realizzare un progetto di conciliazione dei tempi del lavoro e dei tempi della famiglia. La flessibilità nella distribuzione dell’orario, il part time orizzontale, verticale o misto, l’assistenza domiciliare per l’accudimento di bambini e di anziani fanno parte della nostra filosofia aziendale. Il management ha inoltre previsto i servizi salva tempo e salva reddito. Abbiamo risposto ai bisogni nei periodi di chiusura delle scuole con il servizio di doposcuola, i centri ricreativi estivi e invernali, il servizio di babysitter a domicilio per le emergenze. E abbiamo aperto lo sportello family friendly, con un locale di internet point dotato di pc a disposizione del personale.
di Natascia Ronchetti
22 novembre 2010
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore