DONNE HIGH-TECH: UNA EXIT STRATEGY DALLA CRISI
Bastano i numeri a smentire il luogo comune che la tecnologia non sia pane per i denti delle donne. In Italia sono oltre 31 mila le imprese in rosa attive nei settori dell’high-tech. Tre su cinque, vale a dire il 59,8%, sono impegnate nel settore informatico; una su cinque, cioè il 19,1%, si dedica alla riparazione di macchinari ed apparecchiature. E se la Lombardia è in pole position nel Paese, con oltre 7.400 aziende, il pianeta dell’high-tech in rosa è ancora largamente inesplorato e scarsamente valorizzato. Ne è convinto Gianfranco Caprioli, consigliere del ministro Claudio Scajola per l’internazionalizzazione delle imprese. Per il quale le donne, sul tavolo dell’innovazione, hanno molte carte vincenti da giocare. Tra creatività e intelligenza.
Oltre 31 mila imprese costituite da donne nei settori dell’high-tech. E’ la dimostrazione del contributo che le aziende in rosa possono dare all’innovazione?
Prima di tutto va detto che i numeri non rispecchiano le reali potenzialità. Oggi l’Italia ha bisogno non tanto di più imprese quanto di aziende intelligenti, vale a dire innovative e creative. E quando entriamo nel campo dell’immateriale l’elemento femminile ha degli asset in più da mettere in gioco: avendo infatti come punto di forza la conoscenza, il vantaggio delle donne appare evidente. Basta ricordare che fino a poco tempo fa si riteneva che anche i settori scientifici fossero di interesse prevalentemente maschile: mentre oggi, se andiamo per esempio a verificare la situazione nel settore delle biotecnologie, ci rendiamo conto che la presenza femminile è altissima. Senza enfasi credo che la valorizzazione dell’imprenditoria femminile ad alto contenuto tecnologico oggi sia per il nostro Paese anche una carta importante da giocare come exit strategy dalla crisi economica.
In che modo?
Le imprese manifatturiere hanno consentito di attutire gli effetti della crisi. Ma oggi l’elemento nuovo che può aggiungersi è quello del prolungamento della filiera da un lato verso il mercato dall’altro verso il mondo della ricerca e dell’università, senza mai dimenticare che siamo un Paese privo di materie prime ma con una grande capacità di trasformazione che ci ha permesso una produzione d’eccellenza e la possibilità di esprimere una grande forza competitiva. Lo sviluppo delle potenzialità inespresse passa ora attraverso la capacità di coniugare le nuove tecnologie con il manifatturiero, lo sviluppo della meccanica con quello dei servizi. La cosa importante è combinare la conoscenza e le eccellenze con la tecnologia: in questo modo si può forgiare lo strumento che permette alle piccole imprese, vale a dire il 98% del tessuto produttivo del Paese, di agire come grandi aziende. E su questo terreno le donne possono rappresentare una grande risorsa. Ma bisogna investire sulla filiera lunga, espandendo le capacità delle imprese di avvicinarsi al mercato globale e di penetrare nuove nicchie di mercato all’estero. Questo anche attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti della comunicazione, con attività che, se ben organizzate, permettono una flessibilità di lavoro che a mio parere si concilia meglio con il multitasking che caratterizza la vita delle donne. Queste considerazioni non sono divertissement accademici ma esprimono possibilità concrete in un Paese, come il nostro, che ancora si distingue per l’incapacità di valorizzare le proprie risorse: la bassa percentuale di occupazione femminile ne è una conferma.
Concretamente con quali strumenti si può intervenire?
Occorre agire azionando più tasti, con politiche che vanno dall’informazione a una formazione che deve essere mirata e specifica, e non solo una leva per raccogliere risorse europee. Serve poi rimettere ordine nel capitolo degli incentivi, eliminando l’attuale confusione: da un lato con una revisione degli incentivi stessi, dall’altro con un riordino degli enti preposti all’internazionalizzazione. In tale direzione sta operando concretamente il ministro Scajola, in attuazione delle deleghe che il Parlamento ha conferito al Governo con la legge 99 dello scorso anno per semplificare e riformare la materia degli incentivi alle imprese e degli enti preposti: dell’ICE, della Simest Spa, di Informest, di Finest Spa e delle stesse Camere di commercio italiane all’estero. I tempi per la presentazione delle riforme sono fissati dalla legge al 15 agosto 2010 per gli incentivi e al 15 febbraio 2011 per il riordino degli enti.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore