Non riesce ad immaginare l’Italia del post-pandemia e neanche che da queste esperienza ne usciremo migliori. Alberto Abruzzese, sociologo, scrittore, saggista e professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi, analizza i sentimenti e le dinamiche che accompagnano questo momento storico e quello successivo.
“Appena estinta la pandemia, crescerà vertiginosamente la conflittualità – passata e neppure ora sopita – tra diversi interessi”, commenta Abruzzese. In questa intervista per Donne sul web, Alberto Abruzzese ci parla dei rischi e dei pericoli che ci troveremo a fronteggiare e del ruolo dei media in quest pandemia.
“Al posto del virus agiranno le forze economico-politiche della globalizzazione e del post-capitalismo finanziario”.
Lei ha dichiarato “Molti dicono che da questa esperienza usciremo migliori. Io ci credo di meno. In passato una volta finita l’ emergenza si è sempre tornati al comportamento ordinario. Se così fosse anche stavolta, si passerà dalla solidarietà obbligata alla conflittualità scatenata”. Quali sono, secondo lei, i sentimenti che prevarranno nel post-pandemia. Potrebbe essere questa una possibilità per riscattarsi individualmente e come società?
Detto con estrema semplicità potrei rispondere con il ben noto proverbio “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. E’ una massima popolare che enuncia – come fanno i proverbi – una verità fondata sulla esperienza quotidiana, cioè su un dato in cui tutti si riconoscono anche quando ritengano di essere personalmente esenti da tale vizio di natura. Questa frase senza fonti rintracciabili nel tempo e nello spazio – ma frutto di una saggezza che viene dal basso, o si immagina venire dal basso, cioè dal popolo inteso come massa subordinata al potere, collettività di sudditi – è una frase che può aiutarmi a spiegare la mia posizione, proprio in quanto si tratta di una “massima” percepita come “universale”. Può quindi fare da matrice dei motivi per cui non condivido la posizione di quanti pensano – per convinzione o opportunismo o speranza – che la catastrofe in cui ci sentiamo gettati potrà renderci migliori.
E per ciò stesso risanare ogni stortura e ingiustizia della società. Innanzi tutto – servendosi del lupo per dire dell’essere umano – il proverbio ci dice che la natura umana ha gli stessi istinti di sopravvivenza dell’animale e di ogni altra cosa vivente. E questo istinto lo caratterizza come assoggettato alle leggi della violenza del più forte sul più debole. Anche ed anzi soprattutto proprio la politica si fonda su queste regole. Anche i buoni sentimenti, anche quelli di solidarietà, sono a loro modo una tecnica di sopravvivenza. Una alleanza per resistere a forze nemiche. Il virus di queste settimane è la morte e la paura della morte da vincere. Il nemico da battere.
Quando il virus sarà battuto o si estinguerà, la società rientrerà nel suo regime ordinario, caratterizzato sempre ancora da ingiustizie verso i più deboli e i diseredati della terra. Tanto più oggi che le impalcature della democrazia sono sempre più usurate e dunque deboli i suoi principi di uguaglianza. Sempre meno in grado di arginare la violenza. Senza contare che ogni ideale di riscatto dalla attuale condizione sociale – e di riforma delle sue leggi, dei suoi modi di produrre società e relazioni umane, verrà rapidamente frustrato da una crisi economica ( disoccupazione e svalutazione del denaro) che getterà le persone in sofferenze e paure forse ancora più terribili. Al posto del virus agiranno le forze economico-politiche della globalizzazione e del post-capitalismo finanziario.
Quali sono i pericoli e rischi, dal punto di vista economico-sociale, che teme di più? Pensa che la conflittualità politica e sociale, unita alla recessione porterà a degli scontri? Come immagina l’Italia di domani quando questo sarà finito?
Per le ragioni appena dette, direi che, appena estinta la pandemia, crescerà vertiginosamente la conflittualità – passata e neppure ora sopita – tra diversi interessi: i diversi contenuti e i mezzi di cui tali interessi sono tra-vestiti, quindi il loro abito, la loro abitudine, insomma la loro identità socioculturale (ricchi e poveri, conservatori e progressisti, residenti e migranti, e via dicendo). Peggio ancora se la crisi esploderà con ancora in corso il “mal sottile” del virus.
E comunque il pericolo più grave è la gracilità culturale e professionale dei ceti politici e amministrativi che dovranno affrontare questa crisi. Non credo che l’Italia di domani – sempre più schiacciata nella morsa della globalizzazione e nell’insicurezza – sia immaginabile: per il semplice fatto che nessuno sino ad oggi ha davvero realizzato e tanto meno immaginato i valori e i mezzi necessari a una trasformazione radicale del vigente sistema di governo. Nessuno ha attivato i processi formativi in grado di “costituirla”. Riportando sul piano del privato la sua domanda su come ci si possa immaginare l’Italia di domani, credo – e in questo senso la protagonista potrà essere proprio la donna – che i rapporti familiari, messi alla prova e stressati così a lungo nel regime di clausura della famiglia, ne esalteranno più di prima le contraddizioni e conflitti di genere.
Il bombardamento mediatico quali danni ha provocato in questa emergenza? Come è cambiato il linguaggio e il ruolo dei social ai tempi del Covid-19?
I media generalisti hanno funzionato male e bene allo stesso tempo. Male a causa della scarsa coerenza delle strategie politiche e culturali adottate per frenare la pandemia ma anche, seppure di conseguenza, dei vecchi vizi dell’informazione “gridata” per vendere, assai più che spiegare e orientare. Bene nel senso che hanno costituito per la gente l’unica dimensione di vita collettiva e in qualche modo – attraverso i programmi di fiction – la sensazione, illusoria ma forte, che il mondo stesse continuando a vivere normalmente. Insomma hanno creato allarme forse assai più del necessario e insieme hanno funzionato da placebo, da narrazione affettiva in continuità con il passato e le sue sicurezze.
Un ruolo clamoroso invece hanno avuto le reti, consentendo funzioni sociali e attività commerciali e istituzionali che altrimenti non sarebbero state possibili perché interamente congelate dalla saldatura tra virulenza del male e virulenza delle normative adottate per combatterlo. Così pure e forse in modo ancora più significativo è stato fondamentale il ruolo di metabolizzazione del disagio e allargamento di prospettive individuali svolto dai social: cioè in funzione di controcanto rispetto ai mass media tradizionali a ragione del loro elevato grado di pratiche relazionali.
© Copyright 22 aprile 2020
Liliana Rosano vive e lavora negli Usa. Per Donne sul Web scrive di politica americana con interviste mirate a personalità della politica e economia. @lilianarosano
Liliana Rosano vive e lavora negli Usa per Donne sul Web scrive di politica americana con interviste mirate a personalità della politica e economia.