Dimostrato. Un imprenditore paga meno il denaro e ottiene più facilmente un prestito rispetto a una imprenditrice. Un pregiudizio delle banche? Probabilmente sì, visto che alle donne che dirigono un’azienda viene chiesta quasi sempre la firma di un garante. Questo quando va bene. Perché in realtà, spessissimo, il finanziamento viene negato. A confermarlo arriva una indagine di Cna Impresa Donna. E’ stata svolta nella provincia di Genova ma è una cartina di tornasole di un andamento nazionale: che non conosce differenze geografiche, in compenso traccia un bel confine tra quelle di genere. L’indagine, attraverso la somministrazione di un questionario, ha esaminato oltre 120 imprenditrici. E per loro niente tappetino rosso. Negli ultimi 5 anni ben il 77%, quindi la stragrande maggioranza, si sono rivolte a un istituto bancario per ottenere un prestito. Non tanto per fronteggiare crisi di liquidità. Ma per avviare un’attività, ampliarla, investire. Insomma, dimostravano spirito imprenditoriale, visto solo 26 di loro si erano rivolte al funzionario di fiducia per rimpinguare casse vuote o far fronte a crisi di mercato. Cosa che dimostra a sua volta, secondo Cna, “che le nostre imprenditrici hanno aziende solide e radicate sul mercato“.Ebbene: il 51% ha incontrato innumerevoli difficoltà e addirittura il 36% è stata costretta a gettare la spugna. Quelle che l’hanno ottenuto hanno dovuto comunque digerire il boccone di tassi di interessi troppo alti e tempi di risposta particolarmente lunghi. A molte è stato chiesto un avvallo o altre forme di garanzia. Altre si sono viste offrire il denaro a costi altissimi. Tanto che quasi venti sono state costrette a chiedere aiuto alla famiglia. Solo 15 sono riuscite a dribblare gli ostacoli senza troppi problemi. Discriminazione di genere, ha concluso Cna. E infatti oltre un terzo delle intervistate ha dichiarato di essersi sentita discriminata, anche se, forse, non tanto – o almeno non solo – in quanto donne ma anche perché prive di un patrimonio, di uno status sociale adeguato. Problema di genere quindi. Ma anche dell’assenza di una rete di relazioni capaci di aprire le porte. Il risultato è che alcune scoraggiate non hanno mosso un dito e si sono date per vinte. Ma almeno 15, agguerrite, hanno preteso spiegazioni dall’istituto di credito o semplicemente gli hanno voltato le spalle, scegliendone un altro. C’è da dire che ancora tante non conoscono strumenti come i Consorzi fidi, creati appositamente per dare garanzie alle banche. Non è ininfluente il fatto che il campione delle imprenditrici preso in esame si colloca in una fascia medio alta come livello di istruzione, dirige piccole imprese e ha accumulato un bel po’ di esperienza sul mercato. Quasi tutte, infatti, sono ai vertici di una azienda da almeno dieci anni. E, fatto ancora più importante, sono pochissime quelle che l’impresa l’hanno ereditata. Non difettano, insomma, di dinamismo. Ma, per dirla con le parole di una delle imprenditrici che hanno partecipato all’indagine, “per le donne è sempre tutto più difficile, non facciamo nemmeno più caso”.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore