I fondi etici sono strumenti finanziari del tutto simili ai fondi di investimento ordinari. Ciò che li differenzia è la selezione dei titoli che vengono collocati nel portafoglio e che fanno riferimento a società o a Paesi – nel caso dei titoli di Stato – che adottano comportamenti etici e socialmente responsabili. Questo significa che sono esclusi, per esempio, i titoli di aziende che fabbricano armi, operano nel settore della pornografia, sfruttano il lavoro minorile, contribuiscono ad aumentare il livello di inquinamento del pianeta.
Così come possono essere esclusi i titoli di Stato dei Paesi dove vige la condanna a morte o dove non vengono rispettati i diritti umani. In generale i criteri che guidano la scelta dei titoli sono di carattere ambientale e sociale. Vengono “premiate” le imprese o gli Stati che si adoperano per una produzione sostenibile, per la la difesa dei diritti civili e politici, per la tutela della salute, per l’inclusione sociale delle persone svantaggiate, e così via. Sono quindi fondi rivolti a un risparmiatore consapevole che vuole investire i propri soldi in attività che collimano con i suoi riferimenti morali. Come i fondi di investimento ordinari seguono l’andamento dei mercati finanziari. Tuttavia sembrano essere meno esposti alla crisi. Secondo una recente indagine condotta da Vigeo, proprio nel 2009, in piena recessione, il patrimonio dei fondi etici in Europa è infatti cresciuto del 9%. Nati a Boston agli inizi del secolo scorso, negli ultimi dieci anni hanno conosciuto un vero e proprio boom. Diffusissimi in Francia, in Belgio e in Gran Bretagna, in Italia scontano un ritardo dovuto anche alla titubanza degli istituti bancari a promozionarli sul mercato. Ciò non toglie che i fondi etici abbiano fatto il loro ingresso anche in grandi gruppi bancari come Unicredit, Sanpaolo e Monte dei Paschi di Siena
21 giugno 2010
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore