Nei giorni scorsi è bastata l’indiscrezione su una riduzione del coinvolgimento dei privati nel piano di salvataggio dei Paesi europei in forte crisi per dare una boccata d’ossigeno ai mercati finanziari. Comprensibile in questo scorcio di stagione così difficile per la tenuta della moneta unica, insidiata dal rischio di un contagio della crisi dei debiti sovrani. Con la Grecia sempre a un passo dal default e l’Italia che rischia un pericolosissimo avvitamento del debito pubblico, con la corsa dei rendimenti dei titoli di Stato già balzati oltre la temutissima soglia del 7%, le tensioni sono salite alle stelle. Uno scenario nel quale le banche, da mesi sottoposte a forte stress sui mercati finanziari, hanno un ruolo di primo piano. Il precedente del clamoroso crack del colosso statunitense Lheman Brothers, la miccia che ha fatto esplodere la crisi mondiale del 2008, pesa come un macigno sulle condizioni delle banche europee. Basti dire che, sulla base dei dati forniti da Bankitalia, i 90 istituti di credito del vecchio continente che si sono sottoposti agli stress test per misurare la loro capacità di tenuta in condizioni fortemente sfavorevoli, hanno una esposizione che nei confronti della Grecia ammonta a 82 miliardi e nei confronti dell’Italia sale a 286. Parliamo di grandi numeri. Cosa che spiega anche, in questa fase scivolosa e piena di incognite anche per il nostro Paese, l’effetto panico che ha portato molti cittadini a prelevare i propri risparmi. Un possibile default potrebbe infatti mettere in ginocchio, insieme all’euro, anche molte banche che, di fronte alla brusca frenata della ripresa economica, hanno nuovamente stretto i cordoni della borsa, proprio come è avvenuto nel pieno della recessione, nel 2009. La maggiore selettività nell’erogazione del credito ha ricominciato a penalizzare le imprese. E la stessa Bankitalia spiega che l’avversione al rischio, sempre ciclica, sta nuovamente galoppando. Insomma, meglio non aspettarsi molto nei prossimi tempi dalle banche, tra le quali, dovunque, risuona una sola parola d’ordine: ricapitalizzazione. Gli istituti stanno infatti tutti procedendo sulla strada del rafforzamento del patrimonio, condizione richiesta dall’accordo di Basilea 3 sulla vigilanza bancaria. Questo perchè devono mettersi al riparo, a partire dal 2013, dal rischio di un nuovo caso Lehman Brothers. E per farlo devono aumentare il capitale, per essere in grado di far fronte a sofferenze in crescita. Ciò comporta non solo una maggiore competitività tra gli istituti per la raccolta del risparmio (che di per sé è sempre auspicabile) ma anche un maggiore accantonamento e di conseguenza una minore disponibilità negli impieghi, vale a dire nella concessione di prestiti. A farne le spese, oltre alle imprese, ci sono le famiglie. E saranno proprio le banche italiane a imporre condizioni molto più restrittive rispetto agli altri istituti europei, agendo sulla leva del prezzo del finanziamento, che sarà più alto.
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Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore
Ottima analisi!
Complimenti per la testata, un femminile che tratta tali argomenti non è cosa da poco, qualcuno si è finalmente accorto
che le donne hanno un cervello, e che della Canalis nuda per Peta o non non c’è ne importa nulla????