Una vittoria del no al referendum avrà conseguenze politiche come la probabile caduta del governo. Ma ci saranno conseguenze anche per il nostro portafogli?
La prossima settimana è il D-day della politica italiana, il giorno in cui si voterà per approvare o respingere una serie di importanti modifiche alla nostra Costituzione. Il dibattito politico si è acceso e, se ormai sappiamo cosa porterà un sì dal punto di vista istituzionale, il timore di una vittoria del no ha colto qualche analista per i possibili risvolti economici.
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Se vince il no, Renzi si dimetterà veramente?
Per quanto riguarda il Parlamento, dal punto di vista strettamente numerico, la vittoria del no non muta nulla: il governo continuerebbe ad avere la sua attuale maggioranza parlamentare e potrebbe proseguire nella sua attività.
Ma il premier Renzi ha investito molto su questa tornata referendaria e, seppur con periodici tentennamenti, ha fatto intendere che si sarebbe dimesso a seguito di una vittoria del no. Sarebbero le sue dimissioni, alle soglie dell’approvazione della Legge di Stabilità (deve passare entro fine anno), una cosa realmente possibile? La risposta che ci verrebbe da dare è no. Se anche Renzi si dimettesse dovrebbe almeno approvare la Legge di Stabilità, dato che un qualsiasi governo anche tecnico non avrebbe tempo di insediarsi per farlo.
Dunque andremmo almeno a gennaio-febbraio. In quel caso un governo tecnico sarebbe una soluzione realistica, quanto meno per approvare una legge elettorale coerente per entrambi i rami del Parlamento (l’attuale Italicum vale solo per la Camera dei deputati, dato che in teoria il Senato è stato completamente modificato nel suo ruolo e nella sua elezione – indiretta – dalla riforma costituzionale).
Ad eventuali elezioni chi potrebbe vincere?
Molto dipenderà dalla legge elettorale proposta, con un proporzionale sarebbe praticamente inevitabile un “governone” di coalizione centrodestra-centrosinistra, privo di Lega e Cinque stelle, dalla durata tutta da verificare.
Con una legge elettorale maggioritaria è probabile una vittoria dei Cinque Stelle e uno ulteriore scenario da valutare che potrebbe nel medio-lungo periodo significare anche uscita dall’Euro e dall’Europa o quanto meno apertura di una discussione su queste spinose tematiche.
Ma quale legge elettorale resterebbe teoricamente valida da subito?
La risposta a questa domanda ci porta a modificare la domanda stessa: “Quali leggi elettorali resterebbero valide da subito?”
Si dovrebbe votare con l’italicum alla Camera e con il Porcellum – modificato dalla Corte Costituzionale – al Senato. In sostanza al Senato si voterebbe con il proporzionale con sbarramento al 2% per i partiti in coalizione e al 4% per i partiti non coalizzati e senza premi di maggioranza regionali. Inoltre resterebbero le liste bloccate.
Riassumendo, senza modifiche di legge elettorale: al Senato avremmo un proporzionale e alla Camera un (quasi) doppio turno con forte premio di maggioranza al singolo partito più forte. Anche cercando di semplificare, come siamo costretti a fare, è facile capire che sarebbe un caos assoluto e una quasi certa ingovernabilità con le ovvie conseguenze del caso sul piano economico per un Paese come il nostro che ha un debito pubblico colossale e anni di crisi alle spalle.
La situazione pesante delle nostre banche
Una soluzione della crisi bancaria, prima tra tutte quella della senese Monte dei Paschi, è stata “congelata” in attesa del risultato referendario. Questa mattina la borsa di Milano era molto fiacca (-1,5%), ma vanno tenuti in considerazione vari fattori.
Il primo è quello dell’intervento calmierante della Banca Europea che proseguirebbe, probabilmente in un primo momento anche accentuandosi, in caso di esito negativo e forti fibrillazioni dei mercati.
Il secondo fattore però è proprio quello delle banche in crisi: Mps è alla vigilia di un piano di ricapitalizzazione da 5 miliardi: l’instabilità politica legata a una caduta del governo Renzi comporterebbe probabilmente maggiori difficoltà per un massiccio intervento di fondi internazionali nella fase di ricapitalizzazione stessa. E dietro la ricapitalizzazione di Mps c’è quella molto più corposa di Unicredit. Se non si riuscirà a consolidare le ricapitalizzazioni, se cioè non saranno i privati a riuscire a “salvare” le banche si arriverà al bail in con perdite ulteriori per gli azionisti.
E il famigerato spread?
Lo spread attuale è a 185 punti, già in crescita rispetto ai minimi dei mesi scorsi. Con tutta probabilità nell’immediatezza di un possibile voto negativo, con il timore di una caduta del governo, una risalita dello spread è prevedibile, così come una perdita dei titoli azionari, banche in primis. Ma ancora una volta anche l’azione della Banca centrale europea sarà determinante per limare i possibili effetti.
Il voto sulla Costituzione o allo stato della nazione?
La personalizzazione del referendum certo non ha fatto bene a una sana valutazione delle sue implicazioni nel merito: il 56% degli italiani, secondo un recente sondaggio, dice che voterà non pensando alla riforma in sé ma utilizzerà la scheda come “valutazione” dell’operato del primo ministro e come stima della più generale situazione economica del paese