La città di Parigi si è svegliata diversa stamani dopo il massacro nella redazione di Charlie Hebdo intanto in una nuova sparatoria avvenuta stamani nei pressi di Montrouge è morta una poliziotta.
Il torpore di un qualsiasi giovedì di inizio gennaio ha lasciato il posto all’emozione del giorno dopo. Le notizie si rincorrono, particolari accablanti emergono dai giornali che indossano dignitosamente la veste del lutto, con un occhio ai drappelli che ne difendono gli ingressi sorvegliati. I volti dei due sospetti affollano le copertine e rischiano di condensare un’inquietudine che potrebbe far presto a velarsi di razzismo, anche in una società vaccinata dal multiculturalismo, ma continuamente pizzicata dai venti di estrema destra.
La capitale è sotto assedio da ieri. L’esercito ha dispiegato le sue forze tentacolari nel massimo livello di allerta contemplato dal piano Vigipirate. Migliaia di militari in uniforme pattugliano i luoghi chiave e la gente che prende la metro stamani percorre il solito tragitto con il peso dell’inquietudine sulle spalle.
Anche le scuole sono pattugliate e tutte le gite annullate. Non è rimasta una sola copia di Charlie Hebdo nelle edicole, prese d’assalto in seguito ai drammatici fatti di ieri. Un’agenzia di stampa poco nota è saltata all’onore delle cronache, si chiama Première Ligne e deve la sua improvvisa notorietà alla sua ubicazione, nei pressi della rivista presa di mira.
Bandiere a mezz’asta e lutto nazionale, speciali alla televisione, programmazioni stravolte e parole ricorrenti. Lo choc è grande e l’indignazione altissima. Il paese che ha fatto della libertà di stampa il suo vessillo si scopre terribilmente vulnerabile e piange i suoi morti in un clima di nevrosi. La tensione non scema, tante le voci che si rincorrono e fomentano l’inquietudine degli abitanti ancora abbondantemente scossi.
 Il mondo politico si sforza di reagire tempestivamente, ma è dal basso che vengono i moti più vivi. Pochi coloro che si astengono dai commenti. Anche i cittadini più moderati si esprimono in un moto di rivolta che risorge. Quel certo spirito indomito iscritto nella stessa storia dei cittadini della République sembra agitarne nuovamente il sangue.
Tanti cittadini fanno la spola nell’XI° arrondissement, per gettare un occhio e per lasciare un ricordo in quel dedalo di stradine nelle quali giace la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. C’è anche chi si concede una virata di morbosa curiosità facendo un salto a Rue de Meaux, nel XIX° arrondissement, dov’è stata abbandonata la Citroën nera che ha portato i terroristi sul luogo della strage e a pochi metri da Porte de Pantin, punto di fuga verso la banlieue e verso un difficile oblio.
I social sono il teatro di una cronaca continua, che si sviluppa intorno a tre hashtag che risuonano come moniti sulla rete : #JeSuisCharlie #CharlieHebdo #NousSommesCharlie e l’ondata di emozione multimediale non smette di crescere trasversalmente, raccontando al mondo di un paese colpito, ma non piegato.
Persino l’opacità dell’aria satura di particelle fini dell’allerta inquinamento (una delle notizie più diffuse e commentate delle ore precedenti all’attentato in un tessuto sociale lacerato dalle polemiche ecologiste) passa in secondo piano dietro il silenzio cristallino delle riunioni di piazza. Decine di migliaia i parigini scesi in strada ieri sera nella capitale francese e riuniti intorno a place de la République.
Abbiamo già visto molto in meno di ventiquattr’ore qui a Parigi. Sappiamo che Charlie Hebdo diventerà cittadino onorario della città per volere del sindaco Anne Hidalgo. Un giornale noto, ma che arrancava a causa dei pochi abbonati potrà avvalersi del sostegno di una cordata di giganti dell’informazione riuscendo a battere in circostanze tragiche persino la terribile crisi della carta stampata, che miete vittime quotidiane anche qui.
Eppure la notizia di una nuova sparatoria avvenuta stamani nei pressi di Montrouge, e dei suoi due feriti gravi, perseguita la gente. I parigini si preparano a vivere mesi di terrore, ma a testa alta.