Nella Giornata mondiale contro la violenza alle donne, appena celebrata, i numeri impietosi sul femicidio in Italia ci hanno inchiodate tutte, nuovamente, a una mostruosa realtà: nella stragrande maggioranza dei casi le donne continuano ad essere uccise dai loro partner, ex mariti o compagni. Ce lo ha ricordato la Casa delle Donne di Bologna, che ogni anno in occasione del Festival della violenza illustrata, unico evento culturale del Paese dedicato alla lotta alla sopraffazione maschile sulle donne, presenta una ricerca sul femicidio. Nel 2010 sono state uccise per mano di uomini 127 donne, nel 54% dei casi dal marito, fidanzato o ex convivente. Solo nel 4% dei casi l’autore è uno sconosciuto, a riprova del fatto che la vittima è quasi sempre legata al suo assassino da una intima e profonda conoscenza. Il movente lo conosciamo. Gelosia, senso di possesso, incapacità di accettare la fine di una relazione o una scelta di autonomia, indipendenza, emancipazione. La lettura dei quotidiani, ogni volta, ci conferma che non solo il fenomeno è in crescita (mediamente nel nostro Paese avvengono 6 omicidi in più ogni anno) ma anche, ancora una volta, che le radici della sopraffazione sono culturali, in una società ancora ingessata e compressa nella gabbia di una mentalità patriarcale e machista. E così come non si ferma il femicidio aumenta la violenza sulle adolescenti da parte dei coetanei e si diffonde un bullismo che si nutre, attraverso la Rete, della diffusione di materiale pedopornografico le cui vittime sono ragazzine. Bombardati da messaggi di denigrazione del corpo e dell’identità femminile, gli adolescenti maschi affondano sempre di più nel pantano di una devianza culturale che vanifica tutti gli sforzi fatti dalle donne per conquistare pari opportunità, piena indipendenza, padronanza assoluta della loro vita. La filosofa Michela Marzano, in un ottimo editoriale apparso su Repubblica, scrive che gli uomini diventano violenti “per paura di perdere il controllo e il potere sulla donna; percepiscono il proprio atteggiamento come normale: fa parte del copione della virilità a cui in genere aderiscono profondamente”. Il risultato è a tutti gli effetti una devianza, presente in tutti gli strati della società. Gli uomini violenti, incapaci di accettare un rapporto paritario, si nascondono in tutte le fasce sociali. La risposta non può essere solo repressiva, deve essere prima di tutto preventiva, cioè culturale. Per questo l’educazione di genere dovrebbe entrare a pieno titolo tra le materie che si studiano a scuola, inglobando l’educazione sessuale. Un pezzo fondamentale di educazione civica che il ministero della Pubblica istruzione dovrebbe rendere obbligatorio negli istituti di ogni ordine e grado. Le operatrici dei centri antiviolenza invocano questa svolta da anni, l’unica capace di fermare un flagello che ad ogni latitudine continua ad essere uno dei più grandi problemi contemporanei. Qualcosa si muove, per esempio con i centri per gli uomini maltrattanti che, in collaborazione con le Asl, sono sorti a Modena, Firenze e Bolzano. Ma solo l’educazione di genere può davvero contribuire a contrastare la violenza.