L’occupazione delle donne americane cresce nella sanitร , nell’istruzione e nel pubblico impiego
(25 ottobre 2009) – Altro che “Uomini, tremate, le streghe son tornate”. Messaggio per tutte le donne che hanno lottato e continuano a lottare per l’uguaglianza dei diritti ma soprattutto per le pari opportunità. Non c’è più bisogno di sfilare in cortei e gridare slogan provocatori, o proporre le quote rosa, almeno non in America. Infatti, negli States, dei 132 milioni di posti di lavoro, il 49,83% è occupato da donne ed entro l’anno si supererà la soglia del 50%. A diffondere la notizia, per la gioia del gentil sesso, il quotidiano Usa Today. Da un’approssimativa lettura dei dati, il sogno di tutte le femministe si è avverato. Amaramente bisogna però constatare che, più che un sogno, è un incubo cui segue un triste risveglio. L’Institute for Women’s Policy Research ha condotto un’indagine, durata la bellezza di quasi due anni (da dicembre 2007 a giugno 2009), sull’andamento del mercato del lavoro. Il risultato? Complici la crisi e la recessione, negli Stati Uniti 6,4 milioni di persone hanno perso il posto: il 74% è costituito da uomini, interessando tutti i settori produttivi e di alta specializzazione. Inversamente proporzionale il fronte femminile, in cui l’occupazione non ha subìto variazioni significative. Anzi, negli ambiti prettamente "rosa" quali sanità, istruzione, servizi sociali e pubblico impiego, l’occupazione è in crescita. La maggioranza degli impieghi rimane comunque part-time e con uno stipendio non dignitoso, malgrado l’approvazione della prima legge Obama sulla parità di stipendi per uomini e donne.
In questo modo, in America si assiste ad un cambiamento radicale del modello familiare. Quello classico, della mamma intenta a prepara i biscotti mentre il marito rientra a casa dopo una giornata di lavoro, è ormai obsoleto, sostituito da quello della mamma lavoratrice stressata che rientra a casa dal marito disoccupato. Una triste vittoria per le donne americane. E le donne italiane come se la cavano? Malissimo. L’Italia è il penultimo paese europeo per numero di lavoratrici. Dietro di noi solo Malta e avanti a noi la Grecia. Da noi lavora soltanto il 46,3% della popolazione femminile, per la maggior parte al nord e al centro. Al sud spetta quindi la medaglia d’oro per il più alto tasso di disoccupazione e di donne inattive, ossia che smettono di cercare lavoro. Le donne lavoratrici al nord sono 75 su 100, al centro 68 su 100 e solo 42 su 100 al sud. I dati della Presidenza del Consiglio della passata legislatura parlano chiaro: a Torino come a Palermo, le donne guadagnano circa il 23% in meno dei colleghi uomini, anche se svolgono le stesse mansioni (lo chiamano “differenziale retributivo di genere”) e non occupano posti dirigenziali. Nel 63,1% delle maggiori aziende italiane (escluso banche ed assicurazioni) le donne non siedono nei consigli di amministrazione e su 2217 consiglieri solo 110 sono donne. Idem per le banche: nei 133 istituti di credito interpellati per la ricerca, nel 72,2% dei consigli di amministrazione non c’è nemmeno l’ombra di una gonna. Eppure in Italia la maggioranza delle laureate è donna, i cui risultati, in termini di voti, sono migliori e ai concorsi pubblici a far bella figura sono sempre loro.
Nel 2000, a Lisbona, la Comunità europea vagliò un piano per incentivare l’occupazione femminile sulla base di precise analisi. La donna deve lavorare perché ne guadagna non solo la famiglia ma anche l’economia: aumenta il reddito del nucleo familiare, di conseguenza aumenta il reddito procapite del Paese con una maggiore disponibilità alla spesa e agli investimenti. Alla base di tutto, però, deve esserci un sistema sociale efficiente, grazie al quale le donne potrebbero fare più figli. E se pure non volessero usufruire dei servizi sociali per scelte personali, potrebbero assumere baby-sitter e collaboratrici familiari, incentivando l’occupazione. In pratica, le donne potrebbero far girare l’economia. A Lisbona venne anche stabilito un ambizioso traguardo: il 60% delle donne impiegate entro il 2010. Oggi, la media europea si aggira al 57,4%, l’Italia bandiera nera sotto il 50% insieme ai Paesi dell’est europeo. Unica mosca bianca, la Danimarca con il 73,4% delle donne regolarmente impiegate.