Angela Merkel vince ma il suo quarto mandato partirà con molte incognite per lei e per tutta l’Europa, Italia compresa
Quarto mandato in vista per Angela Merkel, una delle personalità politiche certamente più influenti degli ultimi decenni. La cancelliera ha vinto, anche se non ha stravinto e anzi in termini percentuali ha perso abbastanza corposamente consensi rispetto alle elezioni federali del 2013. Ma resta largamente la leader del primo partito di Germania e indirettamente la leader vera dell’Unione Europea.
Una ancora più “Grosse” Koalition
Un calcolo matematico dei risultati parlamentari tedeschi nelle elezioni 2018 mostra che la soluzione per una possibile maggioranza sia, apparentemente, solo una. Una ancora più Grossa Coalizione che comprenda cristiano democratici, liberali e verdi. Una prima storica per 3 partiti che si trovano su posizioni anche molto distanti su alcuni temi. Ma una via che appare come l’unica possibile se i socialisti terranno fede alla loro promessa di non partecipare al governo e di restare all’opposizione.
Cosa cambia per l’Europa con la vittoria a metà della Merkel?
Un primo significativo segnale che arriva dalle elezioni tedesche è la crescita molto ampia della destra dell’Afd, la quale è arrivata ad avere oltre il 12% di consensi, triplicando i voti in soli quattro anni. Tutto questo facendo leva sul tema dell’immigrazione, del nazionalismo, delle radici da difendere e su una critica radicale all’Europa e all’Euro.
I fronti che si aprono per l’Europa sono necessariamente due: come in altri Paesi, anche storicamente leader dell’Unione (basti pensare alla Francia con il Front Nazional ma anche all’anti-europeismo crescente in Italia), una larga fetta di opinione pubblica si sposta su posizioni identitarie, nazionalistiche, con richieste più o meno dirette di maggiore sovranità se non di uscita dall’Unione. Se anche nel paese che pareva più immune ai populismi in brevissimo tempo in parlamento è arrivata una forza così fortemente connotata il segnale è che l’Europa sa comunicare pochissimo cos’è, cosa fa, qual è il suo senso e che cosa ha evitato nel tempo un’alleanza stabile politica ed economica tra i suoi stati.
Il secondo fronte è quello dei migranti: in Germania la Merkel ha accolto milioni di profughi salvo poi virare verso un maggiore filtro e spingere per accordi, come quello con la Turchia, finalizzati al blocco dei flussi. Sui migranti, sul Mediterraneo, sul terrorismo, si giocheranno molte delle prossime campagne elettorali, compresa la nostra.Â
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Un Europa che vira a destra
Il Fronte Nazionale due volte al ballottaggio presidenziale in Francia, Orban al potere in Ungheria, la Polonia con un partito ultraconservatore al governo, la Grecia con Alba Dorata al 7%, l’Olanda con il partito PVV che è marcatamente anti-Europa e per politiche migratorie molto più restrittive secondo in termini di voti nazionali. Un’Unione, insomma, dove risentimento e paure crescono e dove il simbolo stesso della U.E. viene usato come paravento di tutti i problemi e come obiettivo di campagne di critica che spesso sfociano nell’odio di pancia.
Un negoziato per Brexit più complicato
Per Angela Merkel muterà probabilmente anche un po’ la prospettiva di azione: prima la politica interna, prima pensare a puntellare l’esecutivo e il governo, rendendo solida la possibile coalizione a tre teste Giamaica (così chiamata per i colori dei tre partiti che la dovrebbero comporre e che richiamano la bandiera della Giamaica) e solo dopo dedicarsi alle questioni europee. La principale di esse è certamente la Brexit. Angela Merkel non ha mai praticamente citato la cosa in campagna elettorale e certamente non sarà una sua priorità anche dopo. Tanto più che il 12% abbondante di Afd potrà anche essere in qualche modo contrastato con una minore morbidezza verso chi dall’Unione è uscito, come i britannici, a mostrare i rischi e le conseguenze reali economiche, per le tasche di tutti, della dipartita dall’Europa.
Un’instabilità tedesca fa male all’Europa
Abbiamo parlato di una possibile, difficoltosa, soluzione a tre teste per il governo tedesco. Ma, come giustamente sottolineano molti commentatori tra cui quelli di Bloomberg, questo comporterà lunghe trattative e la probabilità di rimandare la nascita dell’esecutivo fino a Natale. Nel 2013 furono 86 i giorni necessari per arrivare ad un governo e molti temono che dovremo attendere anche di più a questo giro. In Germania una coalizione Cdu-liberali-verdi governa nello Schleswig-Holstein, lo stato settentrionale al confine con la Danimarca. Seppure con diffidenza alcuni politici verdi hanno già accennato a possibili proposte concrete per entrare al governo, come un piano passo passo per uscire dall’utilizzo del carbone.
Un’altra opzione, ancora più difficile, potrebbe essere la nascita di un governo di minoranza Cdu, cioè con soli ministri Cdu e i voti da cercare di volta in volta, per ogni provvedimento, tra socialisti, verdi, liberali. Quello che è certo è che l’instabilità del motore tedesco sarebbe critica per tutta l’Europa: farsi vedere più forte all’interno potrebbe anche significare dare maggiore ascolto a quei falchi della Cdu che apertamente criticano le politiche “troppo dispendiose” della Banca Centrale Europea di Mario Draghi, come il quantitative easing e che sono essenziali per la nostra tenuta economica.