12 governi dal 1994: in Italia i frequenti cambi hanno un costo. A volte governi brevi e instabili sono rigorosi dal punto di vista finanziario, ma non producono riforme e sul lungo periodo si rivelano poco convenienti. Ne abbiamo parlato con l’esperto di politica economia monetaria Franco Bruni.
Dalle elezioni politiche del 27 marzo 1994. quando Silvio Berlusconi ha conquistato per la prima volta il campo in cui era sceso, l’Italia ha visto nascere e morire 12 esecutivi. Quello di Matteo Renzi, a chiusura del ventennio, ĆØ il tredicesimo: ĆØ come se in media l’Italia avesse cambiato governo ogni anno e mezzo. Negli ultimi vent’anni il debito pubblico italiano in rapporto al Pil ha avuto un andamento ad U, passando, come spiega il Servizio bilancio del Senato, “dal 121% del Pil nel 1994 al 104,3% nel 2007, per poi tornare a crescere nel 2009” fino al +127% del 2012. E la riduzione del rapporto debito pubblico su Pil “ĆØ importante non solo per evitare turbolenze nei mercati finanziari, ma anche per sostenere la crescita di lungo periodo, evitando effetti di spiazzamento sugli investimenti”.
Franco Bruni ĆØ professore ordinario di Teoria e politica monetaria internazionale alla Bocconi e Vice presidente e Direttore scientifico dell’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano.
Professore, quanto costa all’Italia cambiare governo?
Dipende se in bene o in male. L’instabilitĆ politica ĆØ tradizionalmente considerata in modo negativo da mercati ed elettori, quindi ha un costo in termini di fiducia, sviluppo e occupazione. D’altra parte sono dannosi anche governi stabili ma non in grado di fare riforme, governare e migliorare. In Italia negli ultimi tempi abbiamo tentato di trovare forme innovative per convogliare maggioranze trasversali su programmi di riforma radicali necessari.
Un esperimento difficilissimo che non sembra essere ancora riuscito.
Un esperimento che ha portato con sĆ© la necessitĆ di cambiare un governo, quello di Mario Monti, che non ĆØ riuscito a concludere la sua missione, un lungo periodo di transizione molto costoso e un altro governo che ancora una volta si ĆØ dimostrato inefficace. Possono volerci forze diverse per fare delle riforme nell’interesse generale, ma quelle forze possono anche autobloccarsi.
E non si esce dalla crisi con lāimmobilismo politico.
La formula magica non esiste. LāItalia viene spesso confrontata con la Spagna, Paese con problemi gravi almeno quanto i nostri ma che sembra essere in condizioni di maggiori capacitĆ di incidere sullāeconomia grazie a un governo piĆ¹ stabile e una forma istituzionale che assicura stabilitĆ a prescindere dal colore dellāesecutivo. Abbiamo perĆ² anche esempi opposti: la Francia ĆØ politicamente molto stabile ma di riforme ne fa poche.
Ā Quali sono i costi economici e sociali?
I costi di breve periodo sono negativi: i governi Monti e Letta, per quanto instabili, hanno tenuto rigore finanziario. I tassi di interesse sono stati moderati e abbiamo potuto emettere a tassi piuttosto bassi: il costo del debito pubblico, tenuto conto della sua enorme ampiezza, ĆØ stato contenuto. Lāesecutivo tecnico e quello di larghe intese hanno contribuito a ridurre i costi economici visibili nel breve periodo sul mercato finanziario.
Ā E nel lungo periodo?
Con lāimmobilismo e lāinstabilitĆ politica si perde capacitĆ produttiva, si deteriora il capitale umano, si logorano le persone che restano inoccupate ma anche gli impianti e le organizzazioni che lavorano sotto il livello di efficienza. E si distrugge anche la fiducia delle persone nella pubblica amministrazione, lāefficienza nei servizi pubblici, lāimmagine del Paese nel mondo. Le perdite di lungo periodo date dalla non crescita e dalla decrescita sono enormi e sono quelle che dobbiamo evitare dando finalmente il via al piano di riforme.
Ā Se lāItalia avesse fatto le riforme inveceā¦
Oggi il nostro tasso di crescita ĆØ vicino al -2% del Pil, ancora molto inferiore a quello pre-crisi. Se avessimo fatto le riforme necessarie oggi il nostro tasso di crescita sarebbe in termini assoluti piĆ¹ simile a quello medio del resto dāEuropa: tra il +0,5% e lā1%. Abbiamo costi di medio-lungo periodo che stiamo pagando a causa di una situazione politicamente instabile che dura da tanti anni. La nostra instabilitĆ politica data almeno dallāultimo governo Prodi, quando si ĆØ visto che queste strane maggioranze bipolari non riuscivano a governare e a prendere provvedimenti. Poi cāĆØ stato il governo Berlusconi, con la sua sostanziale instabilitĆ legata a tutta una serie di alleanze strane nella destra e che faceva leva su un clima di guerra non sostenibile. I governi di emergenza Monti e poi Letta sono stati in fondo esecutivi disegnati apposta per rimediare allāinstabilitĆ : dovevano semplicemente lasciare che il Parlamento facesse la riforma elettorale. E il Parlamento non ha fatto altro che esprimere lāinstabilitĆ intrinseca di un sistema che andava riformato giĆ da molto tempo.
Ā Quanto costerebbe andare al voto?
In questo momento nuove elezioni non avrebbero alcun senso e darebbero solo unāimpressione di disorientamento: la legge elettorale non permetterebbe nessuna maggioranza e non potremmo che andare di nuovo al voto dopo poco tempo.
Ā La riforma elettorale farebbe bene anche allāeconomia, insomma.
Una delle cose che ha scoperto Matteo Renzi, forse con un poā di ritardo, ĆØ che il tipo di riforma che propone e per cui si ĆØ accordato con Berlusconi richiede del tempo: non ha infatti senso senza una riforma del Senato, ovvero una riforma costituzionale. Quando il sindaco di Firenze si ĆØ reso conto che tutto questo avrebbe richiesto fino a un anno e mezzo di tempo ha capito che di non avere alternative. La mossa di Matteo Renzi ĆØ lāunica possibile in termini di credibilitĆ internazionale e di costi.
Ā Riforma elettorale a parte, quali sono i provvedimenti economici da cui partire?
Prima di tutto la maxi-riforma del mercato del lavoro, dalla contrattazione alla semplificazione, dalla tassazione al collocamento. E poi cāĆØ il gruppo di riforme della pubblica amministrazione (che alcuni chiamano āsemplificazioneā o āmobilitĆ del settore pubblicoā): dobbiamo licenziare i forestali in eccesso e impiegarli in modo piĆ¹ utile nei servizi pubblici. E dobbiamo dare piĆ¹ soldi alla ricerca medica e scientifica. I provvedimenti sulla pubblica amministrazione si collegano al titolo V della Costituzione, cioĆØ la riforma costituzionale da fare insieme a quella del Senato. E poi ci sono la scuola e lāuniversitĆ : una situazione disastrosa, un enorme spreco di risorse. Riformare il sistema costituisce un passaggio obbligato per dare finalmente ai giovani sbocchi certi. Tutte queste iniziative vanno disegnate nel lungo periodo con leggi quadro che dovranno essere portate a termine da qualunque governo che possa succedersi. Bisogna dare al paese lāidea che si stia andando da qualche parte.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore